Glocal di Ernesto Pappalardo
Senza l'industria il Mezzogiorno non può ripartire
I prossimi mesi saranno decisivi per il Mezzogiorno. Se non saranno resi operativi alcuni interventi fondamentali per il rilancio dell’economia, l’industria manifatturiera meridionale subirà l’ennesimo e, probabilmente, irreparabile colpo che ne segnerà per molti anni il (basso) profilo nel contesto nazionale ed europeo. Negli ultimi giorni sono emersi - ancora - dati molto scoraggianti dal punto di vista dell’analisi degli indicatori strutturali di questo settore nel Sud. Inutile riaffermare l’assoluto vuoto di disegno politico-istituzionale a tutti i livelli per affrontare quella che è un’emergenza che, naturalmente, si riflette gravemente sulle dinamiche di coesione sociale. Inutile sottolineare che il tecnicismo degli ultimi anni andrebbe sicuramente mitigato – il che non vuol dire rendere plausibile un ingiustificato ed insostenibile ri-allargamento dei cordoni della borsa – sotto il profilo della valutazione dei concreti “svantaggi” competitivi rintracciabili nel confronto tra i territori del Sud e quelli del Nord del Paese. La giusta chiave di lettura di questa complessa e difficile situazione è stata fornita nel corso di un suo recente intervento a Napoli (11 aprile) dal vicedirettore generale della Banca d’Italia Fabio Panetta che si è soffermato sui “mali” specifici ed endemici che affliggono le nostre regioni e che, evidentemente, attendono ancora drammaticamente di essere - anche parzialmente - rimossi. “Nonostante le risorse finanziarie impiegate e alcuni progressi compiuti - ha spiegato Panetta - i risultati delle iniziative di politica per la coesione intraprese nel passato quindicennio sono stati inferiori alle attese. Resta assai inadeguata al Sud la qualità dei beni pubblici essenziali, come giustizia, istruzione, sanità, nonostante che in molti casi la spesa pubblica pro capite non sia inferiore a quella del Centro Nord”. E ancora: “I ritardi delle regioni meridionali riguardano sia i servizi in cui le responsabilità della regolamentazione, dell’organizzazione e delle decisioni di spesa sono affidate prevalentemente al governo nazionale, sia quelli in cui è maggiore il decentramento a livello locale”. Le ricerche di Bankitalia “mostrano che le misure di incentivazione alle imprese hanno avuto effetti modesti”. E a questo quadro d’insieme va aggiunto che “la fragilità del sistema produttivo e la debolezza delle istituzioni ostacolano l’accesso al credito e accrescono il costo dei finanziamenti”. E’, quindi, per queste motivazioni che “si è accentuato il ritardo dell’industria meridionale rispetto a quella del Centro Nord: nel quadriennio 2008‐11 il valore aggiunto industriale si è contratto di oltre il 16 per cento nel Sud, a fronte del 10 nel Centro‐Nord. Il calo dell’occupazione industriale è stato più che doppio nel Mezzogiorno rispetto alle altre regioni”. A livello nazionale – giusto per capire bene di che cosa stiamo parlando – “i cali di produzione più pesanti sono stati registrati dall’industria manifatturiera e dal settore delle costruzioni. La produzione industriale è oggi inferiore di quasi un quarto al livello pre‐crisi”. Rispetto al 2007 “il prodotto interno è sceso di 7 punti percentuali, il numero di occupati di 600.000 unità”. Come venirne fuori? E’ convinzione diffusa che l’industria in senso stretto sia determinante per “lo sviluppo - ha sottolineato Panetta - di un’area come il Mezzogiorno, di dimensioni rilevanti sotto il profilo macroeconomico”. “È questa l’esperienza - ha, poi, aggiunto - di altre regioni europee in ritardo di sviluppo, dove il peso dell’industria è superiore a quello che si riscontra nel Mezzogiorno”, perché “il comparto manifatturiero rappresenta un traino fondamentale dell’innovazione, della produttività, delle esportazioni, in ultima analisi dell’occupazione”. Insomma, la diagnosi è estremamente chiara e tutti gli attori protagonisti del comparto ne sono pienamente convinti. Ma, è molto triste ricordarlo, non si muove assolutamente niente di significativo e di concreto. Perfino il pagamento dei debiti delle P.A. alle imprese si sta rivelando una discriminante nei percorsi di “ossigenazione” riservati alle aziende del Nord ed a quelle del Sud. Cosa altro c’è da aggiungere? Solo che il tempo a disposizione per invertire la rotta a questo punto è davvero poco. Ed è sempre più difficile credere che basterà. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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