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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Dopo i danni la crisi ora produce le beffe

    Quando il livello qualitativo della quotidianità si appiattisce tristemente verso il basso, emergono con maggiore chiarezza le carenze strategiche in termini di orientamento dei “percorsi” di crescita socio-economica delle comunità territoriali. In altre parole: quando manca un’indicazione precisa ed autorevole della direzione da prendere, anche la barca più robusta rischia di capovolgersi nei flutti poco tranquilli di un mare, ormai, in tempesta da troppo tempo. La metafora si addice, purtroppo, molto bene alla situazione che si è venuta a determinare in Campania ed in provincia di Salerno, dove la barca, peraltro, non è neanche solida e robusta. L’occasione del decreto che sblocca i pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni alle imprese si è trasformata – solo per fare un esempio che brucia davvero – nell’ennesima conferma del drammatico impoverimento nel quale siamo precipitati senza ancora rendercene completamente conto. Le casse pubbliche sono davvero vuote ed hai voglia ad aspettare che arrivi un po’ di liquidità nel circuito delle imprese. Gli Enti Locali hanno già raschiato il fondo del barile ed al Nord già puntano l’indice su quello che è accaduto. Anche perché - dicono (giustamente) - i debiti sono sempre debiti: si tratta, adesso, di sostituire quelli vecchi con i nuovi. E – guardando da Nord a Sud – alla fine la preoccupazione più autentica è quella di non pagare il conto (molto salato) di spese fatte sciaguratamente da altri. Vai a riprendere, nelle condizioni di oggi, il discorso sul dualismo italiano, sulle diseconomie territoriali, sui costi aggiuntivi (veri) per il tessuto produttivo meridionale e sui vari corollari che accompagnano questi ragionamenti. Andando sul pratico: al momento - senza interventi legislativi e regolamentari sostanziali - nessuno da queste parti ne ricaverà qualcosa di significativo in tempi compatibilmente brevi. Il rischio che si concretizza ogni giorno di più si configura, quindi, in una concreta desertificazione industriale e nel crollo ulteriore della capacità produttiva e competitiva con altri territori. Ed in questo panorama si fa fatica ad individuare da parte delle aziende gli interlocutori istituzionali con i quali provare a dipanare una matassa sempre più aggrovigliata. La Regione lancia segnali a volte difficilmente digeribili nelle varie province di cui si compone la Campania. Discorso vecchio, certo. Ma sempre, purtroppo, attuale. In aggiunta a tutto questo si ha sempre più certezza che i tempi della crisi saranno ancora lunghi. Più lunghi di certo per il Mezzogiorno rispetto al Nord del Paese. Nonostante questo quadro ormai chiaro e consolidato, non si percepisce, però, alcun segnale di mobilitazione politica ed istituzionale adeguata alla gravità del momento. E’ come se si volesse curare un male serio con la tachipirina e le asciugamani bagnate sulla fronte. Né conforta la “competenza” dei dottori che sono sempre impegnati su più tavoli contemporaneamente: mentre giocano con la casacca dei vertici istituzionali, non si distraggono mai dallo sport preferito che resta – a dispetto di tutto e di tutti – il carrierismo politico (costi quel che costi). D’altro canto, lo stallo incomprensibile a Roma, ben si concilia con l’immobilismo endemico che si perpetua nel meridione. Fanno, intanto, impressione i dati che certificano lo stato comatoso dell’economia. La produzione industriale a febbraio ha fatto registrare su base annua un -3,8% (fonte Istat): il diciottesimo ribasso consecutivo. La distanza dal picco pre-crisi – sottolinea Confindustria – è arrivata a -24,2%. E non “si delinea – dice sempre viale dell’Astronomia - per i prossimi mesi, una chiara inversione di tendenza”. Secondo l’Istat il potere di acquisto delle famiglie, tenuto conto dell'inflazione, nel 2012 e' diminuito del 4,8%. Con la conseguente forte contrazione dei consumi e, per la prima volta, di un non occasionale ricorso alla spesa alimentare low cost. Non c’è proprio nient’altro da aggiungere. Se non che tutto sembra scivolare verso il nulla senza che nessuno prenda l’iniziativa. Parlamentari, consiglieri regionali, Comuni, Provincia: nessuno che si ponga il problema di coordinare risposte concrete (e non una risposta generica e mediatica) ai singoli problemi che da decenni – crisi o non crisi – sono sempre gli stessi. La meglio gioventù (laureata, masterizzata, bi o tri-lingue), intanto, non ha altro da fare che guardarsi intorno e cercare fortuna altrove. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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