Glocal di Ernesto Pappalardo
Le eccellenze? Entrano in “rete”. Torino insegna
A ragionare con gli imprenditori nostrani, si fa fatica a parlare di prospettive di crescita e di strategie di breve e medio periodo per uscire dalle secche di una crisi che a questo punto sembra davvero infinita. Eppure dovrebbe essere abbastanza chiaro a tutti che occorre mettersi in movimento da soli, senza attendere interventi esterni o, peggio ancora, decisioni e progetti delle Istituzioni locali o regionali. Sarebbe il momento, cioè, di avere uno scatto di “fantasia” a partire, però, dagli strumenti disponibili. Uno dei metodi migliori resta quello di andare a studiare ciò che si realizza in realtà avanzate dal punto di vista economico e produttivo. A Torino, per esempio, è nato il primo contratto di rete “plurisettoriale” (Il Sole 24 Ore del 6 marzo scorso, articolo a firma di Adriano Moraglio). Una quindicina di imprese si sono associate “non per legami di filiera, ma in quanto specializzate in diversi settori, offrendo così un ampio range dell’eccellenza manifatturiera torinese nell’alto di gamma”. L’iniziativa – “Exclusive Brands Torino (Ebt), promossa dall’attuale presidente dell’Unione Industriali del capoluogo piemontese Licia Mattioli - si basa sul “profondo convincimento che presentarsi insieme sui mercati internazionali e multisettoriali sia qualcosa di diverso e di maggiore potenzialità commerciale rispetto alla somma delle singole componenti”. Le aziende hanno deciso di fare “rete” valicando la frontiera dell’appartenenza a segmenti produttivi omogenei. Parliamo, infatti, di aggregazione tra ambiti molto lontani: editoria nel beauty; penne e stilografiche; nautica; vini; tessuti e velluti di arredo; beachwear; cioccolato; profumi; caramelle e dolci; gioielli; gelati; pasticceria; design; ospitalità; tessuti per tavola, letto e bagno. Su quale terreno si sono incontrate queste aziende? Quello della promozione del proprio business all’estero: pianificando la presenza e decidendo di partecipare insieme a fiere e saloni internazionali. Insomma, l’idea vincente è stata quella di presentarsi valorizzando il “brand produttivo” del territorio di appartenenza, articolando un ventaglio di proposte accomunate dal filo rosso dell’eccellenza qualitativa. Una concezione innovativa delle “filiere” che restano il punto di forza del sistema-Italia e del Mezzogiorno in particolare. A Torino hanno fatto un passo in avanti che – “ritagliato” sulle “misure” del Sud – potrebbe rivelarsi di grande importanza strategica. Nelle regioni meridionali è indispensabile, però, scavalcare le gelosie ed i ritardi storici che continuano, purtroppo, a registrarsi nella costruzione delle filiere più tradizionali, che, pure, esprimono il valore aggiunto di tipicità settoriali uniche al mondo. Basti pensare al pomodoro, alla mozzarella, al caffè, all’olio, alla pasta, solo per fare qualche esempio lampante. Se si riuscisse a lavorare per la realizzazione di “marchi del territorio” incentrati sulla valorizzazione delle aziende di eccellenza, si potrebbe consentire anche agli altri - quelli che non si ritrovano in queste filiere così concorrenziali all’estero (ma che esprimono, comunque, alta qualità) - di arrivare dove da soli non arriverebbero mai. I contratti di rete settoriali sono una realtà ed iniziano ad essere presi in considerazione con discreta visione anche al Sud ed in Campania. Ma non sono stati avviati – se non in minima parte e per iniziativa di grandi aziende – esperimenti incentrati sulla qualità “diffusa” della manifattura territoriale, al di là degli specifici segmenti nei quali le imprese operano. Manca ancora – come si diceva prima – quello scatto di “fantasia” e di “rischio” imprenditoriale che può trasformare una criticità importante (la dimensionalità eccessivamente fragile e la scarsità di risorse finanziarie tipica del capitale asfittico delle piccole imprese) in un’opportunità a largo raggio. L’eccellenza del fare può diventare, quindi, il riferimento centrale di nuovi programmi di internazionalizzazione - ma anche (e non secondariamente) di espansione sul mercato interno - che devono mirare alla creazione di “distretti intersettoriali di qualità” che potrebbero avere la loro “certificazione” nell’area geografica che li esprime. Percorso troppo difficile? Può darsi. Ma l’approccio culturale deve cambiare. Ed il mutamento non può che partire dal basso. Facendo in fretta, molto in fretta. Altrimenti i treni della ripresa – quando prima o poi arriveranno (si spera) – non si fermeranno mai nel Mezzogiorno. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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