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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Industria con il cuore che soffre

    Nell’assordante ed inconcludente, purtroppo, chiacchiericcio dell’ultima settimana di campagna elettorale, forse non è stato valutato a fondo, come avrebbe meritato, un frammento molto importante del “racconto” di questi tempi di crisi dura e difficile, soprattutto qui da noi, nel Mezzogiorno. A leggere bene la lettera indirizzata dal presidente degli industriali Mauro Maccauro ai vertici italiani di un’importante multinazionale giapponese operante nel settore del vetro (Agc Flat Glass) che ha deciso di chiudere l’impianto di Salerno (130 lavoratori a casa), si coglie per intero il segnale più autentico di quanto sta accadendo nel nostro territorio. Quando si parla di “desertificazione industriale” significa esattamente trovarsi di fronte a scelte che vengono prese ragionando sullo scacchiere mondiale della competitività. Il legame con le aree dove insistono i siti produttivi è riconducibile esclusivamente alla convenienza della presenza: se non c’è redditività del mercato di riferimento – ed in questo caso la crisi dell’edilizia è stata la causa scatenante (dopo il crollo dell’auto) – non si può fare altro che decidere di chiudere i battenti. Non contano, non possono contare, i percorsi storici che, pure, giustamente Maccauro richiama nella sua lettera. E’ prevalente la logica dei conti economici, perché il territorio non ha saputo mantenere alto il livello di “appeal” verso interlocutori che sono in grado di determinare realmente i trend di crescita (o di decrescita) di intere aree del Paese e del mondo. Se oggi la Campania e la provincia di Salerno – come larghissima parte del Sud – non esprimono un tessuto industriale forte è perché il contesto complessivo socio-economico nel quale sono immersi è profondamente degradato. Ai costi “aggiuntivi” – logistica scadente, bollette salate per l’energia, capacità penetrativa e condizionante della criminalità, inefficienze burocratico-amministrative, corruzione dell’apparato pubblico (solo per citare i più rilevanti) – bisogna sommare il peso del ciclo recessivo che attraversa tutti i settori a cominciare da quello edilizio, che in questo caso ha spinto Agc Flat Glass ad una decisione che non può essere interpretata riduttivamente come la scelta specifica di una determinata azienda. Al contrario: bisogna leggerla come la sintesi di che cosa è diventata la Campania dal punto di vista dell’attrattività industriale. Ha ragione il presidente degli industriali a parlare di “ennesimo colpo al cuore per il tessuto economico di questo territorio”. E’ un colpo ad un cuore già tristemente sofferente e che ha bisogno di cure “rianimative” immediate. La diagnosi è stata fatta da tempo anche da Confindustria che - come ricorda Maccauro - “nel documento presentato alle forze politiche impegnate in questa campagna elettorale” richiama “la centralità che viene data al manifatturiero, indicando, con puntualità, le azioni da mettere in campo per il suo rilancio”. Esperti ed addetti ai lavori riposizionano con naturalezza al centro delle dinamiche di sviluppo del Mezzogiorno proprio l’industria così ghettizzata fino a pochissimo tempo fa. La sintesi di Alberto Quadro Curzio (“Mezzogiorno Economia” di lunedì 18 febbraio) è certamente un riferimento importante per approfondire questo ragionamento. “Il punto cruciale – spiega Quadro Curzio – è fare capire che l’attuale battaglia a favore del Sud passa attraverso la reimpostazione di una politica di sviluppo che si fondi prioritariamente sul ruolo delle imprese manifatturiere”. E Quadro Curzio insiste su questo concetto, sottolineando che la ripresa di tutto il Paese passa anche “attraverso nuovi investimenti nelle aree meridionali, a partire da quelli nel manifatturiero”. La logica industriale – dice ancora – deve essere applicata a tutti i settori (infrastrutture, servizi, agricoltura, energie rinnovabili, turismo, conservazione e promozione dei beni artistici, naturalistici e culturali). Ma sul tavolo della Regione Campania (l’unico con reali disponibilità finanziarie) pare proprio che di modelli di sviluppo organici e strutturati non se ne vogliano disegnare. E’ questa la sfida fondamentale che gli industriali devono raccogliere e, soprattutto, vincere. Al più presto, nel legittimo interesse delle proprie aziende, ma, soprattutto, dei territori, che restano gli “asset” centrali per non subire altre dolorose chiusure. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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