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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Se a Berlino vincono i “parenti poveri”

    Il paradosso è un’arte tutta italiana, ma ad eccellere nella sua declinazione creativa siamo, in particolare, noi meridionali. Riusciamo naturalmente ed in maniera originale a primeggiare nella capacità di sminuire, snobbare, sottovalutare quanto di più prezioso abbiamo sotto gli occhi. D’altro canto il fatto che pochissimi uomini del Sud abbiano trovato apprezzamento nelle loro terre d’origine è solo la conferma di un teorema che ha preso ancora una volta forma nel corso di questa settimana a Berlino. Il palcoscenico lo ha fornito una delle fiere più importanti al mondo nel settore dell’ortofrutta - “Fruit Logistica” - il resto è materia di analisi “psichiatrica”. Mentre si celebrava il successo dell’oro verde della Piana del Sele e centinaia di addetti ai lavori ne confermavano la competitività soprattutto sotto il profilo della qualità delle produzioni, i protagonisti di questo “miracolo” meridionale non potevano fare altro che descrivere lo stato di abbandono nel quale si trovano a lavorare le aziende agricole in provincia di Salerno ed in Campania. Non è che si stia a parlare di iniziative e progetti per sostenere con forza il settore. No, si fa più semplicemente riferimento a quelle che dovrebbero essere le pre-condizioni per consentire un minimo di agibilità a chi è in grado di tenere testa ai propri competitors in tutto il mondo. Ci si riferisce a questioni come la manutenzione del territorio per esempio: basta un po’ d’acqua che cade dal cielo e gli allagamenti diventano routine, solo per descrivere un classico di stagione. Ancora più grave, invece, è la lontananza siderale dalle vere problematiche che attanagliano aziende piccole, medie e grandi in una regione che si caratterizza per l’assenza di una visione realistica dello sviluppo economico e produttivo. Esempi pratici - segnalati da Giandomenico Consalvo (giunta nazionale di Confagricoltura) nell’intervista apparsa ieri su questo giornale nella pagina Imprese&Mercati - proponibili oggi come l’anno scorso o come l’altro anno ancora: nessuna forma di accompagnamento (non sostegno) al credito per le imprese (linee di accesso dedicate, sistemi di garanzia spendibili realmente con il circuito delle banche); nessun piano di recupero e riqualificazione formativa per mantenere in vita mestieri artigianali fondamentali per la sopravvivenza di lavorazioni che potrebbero assicurare quote di mercato in espansione (nella micro-filiera dei formaggi e degli allevamenti, per citare qualche opzione non irrilevante); nessun supporto effettivamente operativo all’attivazione di strumenti aggregativi come i contratti di rete; nessun programma di promozione commerciale non solo sui mercati esteri, ma anche in aree nazionali dove la domanda di specialità nostrane è sempre molto elevata; nessuna politica di marchio legata alle aree territoriali più che alle singole produzioni e nessuna conseguente sperimentazione di joint relative a “panieri estesi” dell’agroalimentare. Tutte cose già ampiamente rodate in regioni più virtuose ed attente a “cucinare” lo sviluppo con gli ingredienti che si ritrovano per casa, senza rincorrere idee di crescita senza radici, difficili da trapiantare e da portare a germoglio. Niente. Non si muove niente di significativo. Né se ne parla minimamente in queste giornate di campagna elettorale trasformate spesso e volentieri in sequenze di polemiche tutte interne agli schieramenti politici che si fa fatica talvolta anche a decifrare. Gli altri, intanto, fanno sul serio ed agganciano alla qualità dei prodotti agroalimentari - business che in Campania solo per l’export ha superato i due miliardi di euro - la promozione del territorio che diventa un bene turisticamente fruibile, anche quando al di là delle specialità enogastronomiche non ha la varietà di ricchezze (ambientali e culturali) che possiamo (potremmo) offrire noi ad occhi chiusi. Roba da mangiarsi le mani, se pensiamo a quanti posti di lavoro sarebbero attivabili senza alcuna “emigrazione” di tanti ragazzi che hanno studiato per anni sognando semplicemente un impiego decente. E, allora, andiamo avanti con la scenetta degli agricoltori virtuosi premiati e coccolati a Berlino che al ritorno in patria si ritrovano a recitare ancora una volta la parte dei parenti poveri. Tristezze davvero senza fine. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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