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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Candidature, presepi veri e presepi finti

    A Natale – si usa dire – siamo tutti un po’ più buoni. Ma è proprio evidente che si tratta di una delle più tradizionali ipocrisie che almeno una volta l’anno tocca sorbirsi. In realtà, da queste parti è davvero difficile cogliere in giro i segni di una buona predisposizione verso il prossimo, nemmeno per finta. Neanche se si tratta di fare semplicemente il proprio dovere. Le “macerie” sono ben dislocate dappertutto e non sono belle a vedersi: l’economia è – di fatto – ferma (anzi, regredisce); le banche accumulano sofferenze e per rimettere a posto i propri conti chiudono i rubinetti; le famiglie sono aggrappate all’incertezza che paralizza ogni forma di investimento sul futuro (anche nel brevissimo periodo); i ragazzi si guardano intorno disorientati (basta pensare alla travagliata vicenda della Facoltà di Medicina per rendersi di conto di come siamo messi male). E sotto l’albero le “sorprese” non sono ancora finite. Giusto per dare un tocco di dinamismo al “presepe” nostrano, sono in arrivo le elezioni politiche che si apprestano a diventare - come accade da decenni, per la verità - la fiera del gattopardismo e, soprattutto, il momento topico, purtroppo, della cristallizzazione di un sistema di potere che non lascia spazio ad alcuna novità. Altro che rinnovamento, “mobilità” generazionale e “ricambio” della classe dirigente. Anche quando si accredita il “massimo momento della partecipazione democratica” (vedi alla voce primarie), viene da chiedersi che cosa accade e chi realmente effettua la “selezione” a monte degli ammessi alla competizione (per non parlare dei nominati dal segretario nazionale). Insomma, siamo certi che di volti nuovi nel centrosinistra alla fine non se ne vedranno molti – almeno in questa super-bersaniana provincia – ma è anche vero che dall’altra parte (tra uno spacchettamento e l’altro) non si intravedono scenari di avvicendamenti credibili, anche se i volti nuovi sono più numerosi. Inutile anche parlare di quello che era il centro moderato e cattolico: è da molto tempo scomparso, disperso in mille rivoli di cui si sono perse le tracce. Non è pensabile che la luminosa storia dei cattolici salernitani - certamente non identificabile soltanto con quella dei cattolici democratici - sia quasi del tutto “ridotta” a qualche dichiarazione di intenti in convegni o conferenze stampa da parte di una variegata platea di pur validi ed operativi esponenti di diverse formazioni politiche. Né mancano intelligenze e risorse intellettuali nei circuiti che ancora, fortunatamente, si ritrovano ad agire nei canali dell’associazionismo di base che ruota nell’orbita della Chiesa. Insomma, il “presepe” salernitano è davvero immobile e fedele al “vangelo” dei pochi “padroni” del vapore. Di una vera “dialettica democratica” non si ravvisa assolutamente il minimo cenno. Chi ha un lavoro ed una professione, chi ha del suo, insomma, non ci pensa minimamente a confondersi con questa politica e con questo approccio alla “gestione” delle Istituzioni. Gli equilibri di potere sono bene definiti e non muteranno facilmente: qui da noi il vento del cambiamento vero, quello “dal basso”, non soffia proprio. Anzi, non si avverte neanche uno spiffero. Anche perché la vulgata ufficiale non tiene conto della palude economica e produttiva (salvo poche, ma fortunatamente, importanti eccezioni), dei livelli occupazionali che scendono ancora e del lavoro che non si cerca neanche più. Si galleggia – non solo da parte della politica, è bene riaffermarlo con chiarezza – sull’onda della “caccia” esasperata al consenso. Troppi “consociativismi”, troppe competizioni personali finalizzate all’effetto mediatico, pur di ottenere un giorno di gloria sui giornali da capitalizzare nel proprio orticello di riferimento. Eppure, basterebbe dare almeno un segnale: perché il “mondo del fare”, quello che si ritrova nel sistema economico e produttivo per intenderci, non chiede a chi si candida – in tutti gli schieramenti – di impegnarsi fin da adesso su due, tre punti vincolanti per lo sviluppo del nostro territorio? Troppo, per così dire, difficile? Ma – come si diceva all’inizio – è Natale e corre l’obbligo se non di esserlo, almeno di apparire più buoni. E, allora, l’augurio è che sotto l’albero – con a fianco il presepe, quello vero – si riesca a trovare pure un po’ di speranza. Anche se da sola non può davvero bastare. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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