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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Partiti, poltrone e gattopardi

    E’ del tutto giustificabile mediaticamente che i riflettori restino accesi prevalentemente sulla politica nazionale. Ma è altrettanto evidente che in questo modo si perdono di vista tante dinamiche fondamentali per costruire percorsi di crescita reale sui territori. Per entrare nel merito: il progressivo accentramento del potere decisionale nelle mani della politica romana va di pari passo con lo svuotamento totale della funzione esistenziale dei partiti nelle singole realtà locali. La completa sovrapposizione tra le identità dei vertici delle istituzioni con quelle dei partiti - di cui sono esponenti di punta sindaci e presidenti di Provincia - ha plasmato un modello operativo che ha esautorato ogni forma di vita democratica all’interno delle formazioni politiche. In questo modo i partiti sono diventati simili a schegge poco credibili, entità difficilmente individuabili rispetto alla centralità espressa dagli esponenti delle Istituzioni che essi al momento del voto hanno indicato e sostenuto. In questo deprimente contesto, quindi, i partiti “riappaiono”, “ritornano” veramente in “vita” solo in vista delle scadenze elettorali, quando provano ad accreditarsi come organismi essenziali per l’interlocuzione democratica. In realtà questo stato di cose finisce con il premiare soprattutto il modello di partito “pesante”, strutturato capillarmente sul territorio, che ha saputo gelosamente preservare quello che resta di una rete di riferimenti personali in ogni luogo identificabile con un seggio o una sezione elettorale. Le eredità del vecchio Pci, del vecchio Msi ed anche della vecchia Dc (sebbene meno articolata) continuano a fornire gli snodi essenziali, il capitale umano di base per mettere in pratica un modo di “fare politica” che prescinde dai valori e dai principi in nome dei quali un tempo si aggregavano le scelte di campo e gli schieramenti. Tutto l’armamentario dei postulati ideologici irrinunciabili è andato in archivio (e per certi versi non è del tutto un male). Ora, però, si utilizza la “militanza” volontaria (ma chi ci crede veramente alla determinazione autonoma delle scelte di tante persone che in un modo o nell’altro vivono di politica?) per fare “marketing” del feudatario locale che si configura non più nelle vesti di uomo di partito, ma con l’alone di autorevolezza che gli deriva dalla carica pubblica che ricopre. Oggi gli unici capi - più o meno riconosciuti - sono quelli che i partiti hanno insediato nei Palazzi e che consolidano il loro potere proprio grazie alla gestione dei Palazzi. Solo in rari casi si assiste ad un comportamento coerente di questi “capi” rispetto al partito che li ha espressi o nominati in Parlamento. Sembra quasi che una volta insediati sulla poltrona o poltroncina che gli è stata assegnata facciano a gara a prendere le distanze dai propri partiti: perché comprendono bene che la loro credibilità potrebbe essere fortemente offuscata dallo scarso appeal dei partiti rispetto ai potenziali elettori ad personam. E, allora, tendono ad attivare il percorso opposto: è il partito che deve “giovarsi” in termini di consenso della loro “capacità” di governo delle Istituzioni. Insomma: cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia. E’ un sistema di potere che prima aveva il centro di gravità nei partiti e nelle segreterie politiche, mentre oggi lo localizza nelle stanze delle Istituzioni. Si comprende bene che il danno è diventato irreparabile: l’occupazione della democrazia si è ampiamente realizzata, con la riduzione al nullismo decisionale delle assemblee di consiglieri comunali e provinciali. Sono questi ben controllati e manipolati schemi di accaparramento del potere che annullano ogni “mobilità politica” oltre che sociale. La sensazione è che il gattopardismo resterà ancora per molto tempo lo sport più praticato da queste parti. Perché la sindrome della poltrona – di qualsiasi tipo – è davvero molto diffusa. Anche in tempi di spending review. Vuoi mettere la “soddisfazione” di un titolo o di una foto sul giornale che, ormai, non si negano più a nessuno? ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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