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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Banche-Imprese, il rubinetto resta chiuso

    Il dibattito su come rilanciare l’economia diventa sempre più una vetrina mediatica non priva di pavoneggiamenti inutili, ma sempre di moda da queste parti. Nonostante l’affollamento di convegni, workshop e quant’altro offre l’armamentario utile a diffondere il “nulla”, il quadro sta diventando più chiaro: il credit crunch, per esempio, non lo nega più nessuno, neanche buona parte del circuito delle banche. L’evidenza dei dati – targati Bankitalia – è talmente inattaccabile che si sta passando, finalmente, all’analisi del vero problema, quello che realmente frena l’immissione di circolante nel tessuto delle imprese e delle famiglie. In alcuni approfondimenti apparsi su vari quotidiani si spiega in maniera molto diretta ed efficace (Federico Fubini sul Corriere della Sera di martedì 20 novembre, per esempio) che “le banche italiane faticano a trovare sul mercato il credito che serve loro per funzionare normalmente. E’ anche per questo che ne trasferiscono meno al resto dell’economia”. Per entrare ancora meglio nel cuore del problema sempre Fubini specifica: “Oggi in Italia il volume dei prestiti è nettamente superiore a quello dei depositi dei clienti custoditi dalle banche stesse. Quest’ultimi valgono oggi 2.340 miliardi di euro, i prestiti ai residenti in Italia, invece, 2.860 miliardi”. Che cosa significa? Che gli impieghi sono del 22 per cento superiori alla raccolta. In altre parole: “Esistono prestiti per circa 500 miliardi di euro che non possono essere finanziati dai risparmi depositati in banca” (chiarisce ancora Fubini). Senza la crisi a questo scompenso si sarebbe in qualche modo potuto ovviare da parte delle banche, emettendo bond o contrattando prestiti presso altri istituti di credito. Oggi, invece, nella zona euro non circolano molto facilmente capitali e solo i grandi istituti (due in Italia secondo gli analisti) riescono ancora a raggiungere un equilibrio tra prestiti e depositi. Per le altre banche è diventato molto (molto) più difficile. Peggio ancora se all’orizzonte ci sono qualcosa come 78 miliardi di euro di bond in scadenza da rimborsare (entro la fine del 2012). Naturalmente, tutti confidano in San Mario (Draghi) che dalla torre della Bce potrebbe riaprire i flussi di liquidità ricorrendo di nuovo ai prestiti pluriennali. Ma, nel frattempo, per la maggioranza delle banche non resta che provare a riallineare i livelli dei prestiti ai depositi. Se, poi,vogliamo parlare della Campania, basta qualche dato (fonte Bankitalia) per capire come stanno le cose: “A giugno 2012 i prestiti bancari alla clientela residente in regione, al netto delle sofferenze e dei pronti contro termine, sono diminuiti del 3,0 per cento su base annua. La flessione dei prestiti, in parte determinata da una maggiore intensità dei passaggi a sofferenza, è proseguita nei mesi estivi: a luglio e ad agosto il tasso di variazione è stato pari a -3,8 per cento sui 12 mesi”. E per quanto riguarda più specificamente le imprese: “La contrazione dei finanziamenti ha interessato tutte le classi dimensionali ma è stata più intenso per le piccole imprese. I prestiti complessivamente erogati da banche e da società finanziarie sono diminuiti del 2,8 per cento. Il calo ha riguardato tutti i settori produttivi, risultando più accentuato per le imprese dell’edilizia (-7,4 per cento); i finanziamenti alle imprese del settore manifatturiero si sono ridotti del 4,0 per cento; quelli alle imprese dei servizi dell’1,0”. E senza circolante ed in un contesto di drammatico calo della domanda interna non poteva non accadere che si deteriorasse la qualità del credito: “La percentuale di prestiti alle imprese campane che nei dodici mesi terminanti a giugno 2012 ha registrato un passaggio a una classe di rischio più elevato, al netto dei relativi miglioramenti, è stata pari al 7,4 per cento (6,4 per cento nel 2011). L’indicatore ha raggiunto il valore più intenso dal 2008. L’incidenza del complesso delle partite deteriorate (sofferenze, incagli, prestiti scaduti e ristrutturati) sul credito erogato alle imprese ha raggiunto il 32,9 per cento”. Il classico cane, insomma, che si morde la coda. Non resta che sperare che questa volta i soldi della Bce – se arriveranno – finiscano almeno per una discreta parte alle famiglie e alle aziende. Ma non è per niente scontato. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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