Glocal di Ernesto Pappalardo
Oro Rosso, il tesoro abbandonato
Il tema è tornato di moda. Anzi, è diventato centrale per chi si occupa di imprese e di economia. Ogni strategia di rilancio del circuito produttivo passa inevitabilmente per la valorizzazione, il recupero, il “riuso” del manifatturiero. La questione, per la verità, è abbastanza banale: può un territorio dove si incrociano oltre un milione di persone sperare di andare avanti (sopravvivere, visto il reddito pro capite così lontano dal Centro-Nord) senza una parvenza di industria in senso stretto? E, invece, che si fa da queste parti? Si continua allegramente – in taluni casi anche rivendicando modelli di sviluppo leggeri, basati su una terziarizzazione poco virtuosa – a teorizzare “filiere” lunghe e corte che non tengono conto della necessità di produrre ricchezza, prima di distribuirla. Insomma, siamo ancora nella fase che prevede il ritorno al manifatturiero in maniera filosofica, a livello di dibattito politico-culturale. Come dire: mentre la casa brucia, pensiamo a disegnare un futuribile progetto di ristrutturazione. Ed è irritante assistere ad un balletto di convegni, dibattiti, interventi, dichiarazioni che eludono l’unica domanda alla quale imprese ed imprenditori vorrebbero subito una risposta. Ma che cosa si può iniziare a fare?Senza scomodare troppe analisi, anche autorevoli, la prima cosa da fare è davvero semplice. Sul fatto che l’agro-alimentare sia un punto di forza del circuito produttivo provinciale c’è poco da discutere. Sul fatto che esista un distretto - anche in termini di struttura riconosciuta istituzionalmente - con numeri di tutto rispetto sotto il profilo del fatturato e delle quote di export, altrettanto. Perché, quindi, non partire dal rafforzamento reale e concreto di una serie di iniziative all’interno dei confini del distretto? Stiamo parlando di un’area composta da venti comuni di cui ben sedici ricadenti nella provincia di Salerno, con una popolazione totale di circa 378.000 abitanti su una superficie di 293,96 Kmq. Quali sono queste iniziative? Sul piano infrastrutturale due esempi pratici: riassetto dei collegamenti su ferro e gomma in funzione della catena logistica necessaria e vincolante per le aziende; rafforzamento delle reti di servizi (elettricità, acqua eccetera) pensando in primo luogo alla diffusione capillare della banda larga. Sul piano più prettamente di sistema: incentivazione alla stipula di contratti di rete; politiche commerciali legate alla creazione ed alla diffusione di un marchio di distretto riconoscibile in virtù della qualità e della certificazione delle produzioni; promozione delle dinamiche di aggregazione dell’offerta che – è bene ricordarlo – non si limita soltanto ai prodotti trasformati derivanti dal pomodoro; individuazione di percorsi di condivisione delle strategie di export in partnership con aree omogenee dal punto di vista dell’identificazione con il “made in Italy” (caffè, mozzarella di bufala, ortofrutta della Piana del Sele eccetera). La vogliamo chiamare politica industriale? Possiamo anche farlo, ma tenendo ben presente che senza un’idea chiara di quali sono le priorità e senza una reale volontà delle due parti in campo - pubblico, ma anche privato (e con una visione finalmente ampia, senza ripiegamenti su dimensioni aziendali “micro” destinate a diventare sempre più il punto critico anche per tantissime esperienze di qualità) – sarà impossibile andare a battere i pugni sul tavolo che più conta, quello della Regione Campania che resta la porta di accesso agli unici flussi di finanziamento possibili (targati Ue) per ancora molti anni. E, allora, la vera questione non è quella dei fondi che non ci sono e del “vorremmo, ma non possiamo”. La vera, unica ed antica questione, è la lottizzazione politico-istituzionale perfino delle “leadership” sui disegni di sviluppo. E non è solo un problema della parte pubblica. Anche nel privato continua a mancare lo “scatto” per passare dal business imprenditoriale – atteggiamento per carità, pienamente legittimo e coerente, ci mancherebbe – ad un progetto di sistema: l’unico sentiero, sebbene molto stretto con i tempi che corrono, che potrebbe stimolare ricadute positive per tutti. A cominciare proprio dai più piccoli. Ed, invece, il solito Keynes continua ad avere ragione: “La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie”, che nel nostro caso – lo sanno tutti – si stanno rivelando davvero sbagliate. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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