Glocal di Ernesto Pappalardo
Se il Governo archivia i territori
Alla fine di ogni ragionamento ritorna ad emergere un concetto per la verità abbastanza banale: senza un’autentica spinta sociale verso un modello di crescita economica sostenibile - e, soprattutto, in grado di garantire un’equa distribuzione del valore derivante dalla ricchezza prodotta – non sarà possibile uscire da una crisi che per il Mezzogiorno e la Campania è ancora profonda e senza certezze. Gli spunti di analisi e di riflessione contenuti nel documento che l’Università di Salerno ha elaborato come contributo all’assemblea degli industriali (26 ottobre scorso) consentono di riposizionare al centro di ogni percorso di rilancio dell’economia il territorio inteso come unica ricchezza disponibile per i singoli sistemi di sviluppo locale. Uno dei punti centrali di questo documento si configura proprio nell’individuazione di una nuova “base” che si incarica di disegnare un percorso di crescita capace di aggregare il valore economico – che da solo non coagula tutte le forze necessarie – e il valore sociale. In altre parole, la corsa miope a risorse e progettualità di corto respiro, non calate in una visione di competitività più larga, più solida, più articolata, al di là delle singole aziende e dei singoli comparti, ha generato una destrutturazione del territorio senza risposte effettive al processo di deindustrializzazione pieno di “vuoti e problemi sociali ancora non risolti”. Un passaggio del documento è particolarmente chiaro: “Il valore del territorio ha subito una decrescita dovuta alla perdita di identità produttiva e sociale”. Il contrario dell’obiettivo che avrebbe dovuto perseguire la cosiddetta classe dirigente che pure non ha perso occasione per autoproclamarsi indispensabile riferimento per la tutela degli interessi delle comunità amministrate (?). In questo contesto diventa sostanziale procedere ad un rimodulazione della governance interistituzionale per dare alle politiche locali una reale efficacia e consentire interventi per le infrastrutture adeguati al rilancio della produttività delle imprese. Sarebbe, quindi, urgente ridefinire una politica industriale “coerente” con i temi di fondo: occupazione, equità fiscale, accesso al credito, produttività e redditività degli investimenti. E, naturalmente, dovrebbe essere ineludibile il rilancio del manifatturiero in ambiti territoriali allargati, non tanto nella visione dei distretti industriali, ma in aree vaste digitalizzate e, quindi, non necessariamente accomunate dalla condivisione di specifici settori produttivi. Suggestivo si rivela, poi, il riferimento alla “città-paesaggio” con il compito di “investire in una nuova forma di fabbrica territoriale che tenga nel sistema produttivo il valore etico” che nasce dal senso di comunità intesa in tutte le sue potenzialità (saperi, culture, percorsi solidali eccetera). Naturalmente, andando al sodo, il documento spiega anche che senza una riprogrammazione dei fondi strutturali ed un’accelerazione della capacità di spesa non si va da nessuna parte. Come, pure, non è concepibile continuare a rimuovere il problema della “complementarietà” delle economie dei singoli territori che compongono il quadro campano. Il problema sostanziale, però, resta: chi prenderà in mano il bandolo della matassa per provare a mettere in fila due-tre priorità intorno alle quali raccogliere quell’unità d’intenti che da queste parti si sbriciola sempre per ragioni – diciamo così – di “paternità” della proposta? L’idea di un’”Agenda per Salerno” del neopresidente della Provincia è un’utile indicazione di percorso, sebbene fortemente depotenziata, purtroppo, dal ridimensionamento che il Governo ha operato di questi importanti Enti competenti, appunto, in area vasta. Un grave errore dal punto di vista dell’indispensabile raccordo tra piccoli e medi Comuni con il livello regionale. Un modo “serio” per archiviare le dinamiche produttive dei sub-sistemi territoriali di cui le Regioni – soprattutto al Sud – non mostrano di avere cognizione. E’ del tutto evidente che si continuerà a navigare a vista. Senza una “cornice” politica, né istituzionale. E il conto sarà ancora più salato di quello che pensavamo. Perché tra una spending review e l’altra al Sud non solo non si avrà più traccia di investimenti pubblici, ma aumenterà di parecchio l’assoluta impotenza decisionale della filiera istituzionale. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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