Glocal di Ernesto Pappalardo
L’autunno “caldo” e le altre stagioni del declino
Passato San Matteo il famoso autunno “caldo”, che puntualmente ogni anno quasi tutti preannunciano, è davvero alle porte. Naturalmente, nessuno – tra politica e partiti – sa realmente che pesci prendere. D’altro canto è comprensibile: tra primarie, elezioni politiche, rimpasti e quant’altro il tempo che resta a disposizione per occuparsi di cose concrete è davvero poco. Qualche dato per rendersi conto della reale condizione nella quale versiamo. Le previsioni che la Svimez, insieme all’Irpet, ha pubblicato prima dell’estate - come ha recentemente ribadito il direttore Riccardo Padovani (13 settembre) - rafforzano la percezione di una situazione che si commenta da sola: quest’anno il Pil diminuirà dello 1,4% nel Centro Nord e del 2,9% al Sud; il tasso di disoccupazione sarà pari al 7% al Centro Nord e al 14,4% nel Mezzogiorno; i consumi delle famiglie caleranno dello 0,8% nelle regioni settentrionali e del 2,6% in quelle meridionali. Se, poi, vogliamo parlare degli effetti dei tagli alla spesa pubblica, la Svimez ci fa riflettere su come si sentirà di più, tanto per cambiare, nelle regioni meridionali: “(…) La sua “spending review” il Sud l’ha già fatta. (…) La quota del Mezzogiorno sulla spesa pubblica complessiva in conto capitale è scesa nel 2011 al 31,1%, in progressivo declino, nel corso del decennio, da quasi il 41% del 2001, e comunque sempre più lontana dall’obiettivo del 45% a suo tempo previsto nei documenti di programmazione economica”. Insomma, altro olio di ricino dopo la cura da cavallo sorbita fino ad oggi. Questa parte del ragionamento è utile a sottolineare che il presupposto sostanziale per stimolare anche un timido riavvio dei processi di sviluppo si configura ineludibilmente nel rilancio degli investimenti pubblici. Ed è la prima pre-condizione che al momento non pare materializzarsi (al di là di tabelle, annunci e via discorrendo). Ma ammesso che in un modo o nell’altro (Ue) arrivassero le risorse, mancano ancora due presupposti fondanti: la messa a fuoco di politiche industriali efficaci e realizzabili (modelli di sviluppo?) e – altro punto dolente – la capacità di governance centrale e locale. Anche qui la visione della Svimez aiuta a capire le difficoltà da superare: “(…) Nell’attuale fase di declino internazionale, l’inevitabile ristrutturazione produttiva impone di puntare sulla crescita dimensionale e sulle “reti di imprese”, per essere competitivi sui mercati. In questo contesto, i territori meridionali sono indubbiamente più deboli e faticano a reagire, soprattutto a causa di due fattori che caratterizzano gran parte del nostro sistema nazionale, rispetto alle altre economie avanzate, ma sono assai più presenti al Sud più che al Nord: le troppo piccole dimensioni medie d’impresa e un forte sbilanciamento in settori tradizionali dove la concorrenza dei Paesi emergenti è diventata sempre più aggressiva”. A quale politica industriale rimanda, a questo punto, la Svimez? “(…) Una politica industriale nazionale selettiva, concentrata su pochi obiettivi specifici, che, al Sud, dovrebbe muoversi, non secondo la logica dei distretti – che perfino al Nord stanno vivendo una fase di difficoltà – ma puntando, invece, sulle reti d’impresa e sulle filiere, anche lunghe”. E, per venire all’altro pilastro, si rivelerà decisivo questo passaggio: “(…) Va pienamente ripristinata la responsabilità attiva dell’operatore pubblico, non come pura entità di spesa o solo di regolazione dei mercati, bensì come capacità di declinare e perseguire una strategia di crescita (…)”. In altre parole: riequilibrio degli investimenti pubblici, identificazione di una politica industriale adeguata alla sfida della competitività tra territori – all’interno e all’esterno dei confini nazionali – e capacità di governance in un’ottica di piena collaborazione (anche dal punto di vista delle risorse finanziarie da mettere sul piatto della bilancia) pubblico-privato. Un po’ troppo, obiettivamente, per la qualità politica ed amministrativa espressa negli ultimi anni nelle regioni e nei territori della Campania e del Sud. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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