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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Gli Enti non pagano? Le imprese provano ad "emigrare"

    “Stiamo valutando di andare a lavorare in Qatar e nei Paesi arabi per approvvigionarci della liquidità necessaria ad andare avanti, visto che qui da noi gli Enti Locali ci devono da diciotto mesi qualcosa come oltre quindici milioni di euro, solo per citare i crediti di più ampie dimensioni”. Le dichiarazioni di Elio Rainone – amministratore delegato di una delle imprese di costruzioni più strutturate presenti sul territorio salernitano – rilasciate a “Imprese&Mercati” ieri su “la Città”, fotografano più di mille analisi congiunturali la situazione drammatica nella quale si dibattono le aziende salernitane. Il problema di fondo non sono le commesse – Rainone ha spiegato di averne in portafoglio per decine di milioni di euro – ma l’effettivo incasso dei finanziamenti derivanti dalle casse pubbliche. Due appaiono i nodi da sciogliere e non più “aggirabili” nonostante il tecnicismo dirigistico esasperante di questo Governo Monti: il patto di stabilità che ingessa le potenzialità operative degli Enti Locali virtuosi e la compensazione dei crediti, che nel caso delle imprese edili - almeno con le procedure non ancora modificate - appare davvero di difficile comprensione. “Prevedendo l’iscrizione a ruolo dei debiti verso lo Stato per ottenere la compensazione, nel nostro caso - ha specificato Rainone – allo stato attuale si configura la non regolarità del Durc (Documento Unico di Regolarità Contributiva), attestazione indispensabile per partecipare alle gare di appalto”. Insomma, per compensare, fin quando non si porrà rimedio, si corre spediti verso il baratro del fallimento certo, soprattutto per quelle imprese che hanno una storia radicata e lunga nel tempo: ci vuole poco, invece, per chi saltella da una sigla all’altra a fare pulizia nel proprio “profilo” fiscale e contributivo. Accade, quindi, che in questo contesto il circuito bancario decida – al di là della valutazione del dinamismo progettuale e dell’affidabilità dimostrata negli anni da tantissime aziende – di procedere ad un credit crunch più o meno dichiarato, che si traduce nel migliore dei casi in un rallentamento eccessivo delle procedure di concessione delle linee di affidamento. Non sarà tecnicamente una stretta creditizia – anche se non pochi indicatori statistici confermano specie al Sud questa ipotesi – ma di fatto le banche si sono allineate nei tempi quasi alle Pubbliche Amministrazioni. Il cerchio, quindi, si chiude in maniera asfissiante: nessuna liquidità in entrata, nessuna liquidità in uscita. Si ferma praticamente tutta la filiera: dai fornitori agli utenti finali del processo di produzione del valore. Da qui l’abbattimento delle quote di consumo e la depressione delle reti commerciali: la crisi del circolante è una realtà contro la quale nessuno sta facendo praticamente niente da mesi. Da Roma si ricorre per fare cassa alle accise sui carburanti, l’aumento reale dei costi dei consumi legati alle utenze indispensabili è un prelievo continuo nelle tasche dei cittadini. L’inasprimento fiscale non si accompagna a misure concrete per il rilancio della produttività: annunci a ripetizione sulle start up e sulla digitalizzazione: ma il tessuto esistente delle piccole e piccolissime imprese chi lo potrà salvare con una visione così brutalmente contabile dei conti dello Stato? Si parla tanto di nuove imprese – che qui al Sud rappresentano sostanzialmente la forma più evoluta della volontà di (ri)collocarsi in qualche modo sul mercato dell’occupazione – ma siamo sicuri che queste nuove, auspicate “partenze” siano la priorità di fronte all’agonia di interi comparti produttivi? E, allora, la dinamica descritta da Rainone è l’esatta rappresentazione dello stato delle cose: per generare il cash flow necessario a mantenere in vita l’impresa, l’imprenditore che ha i mezzi ed è competitivo nel suo segmento di mercato deve provare ad approvvigionarsi di liquidità all’estero, dove – addirittura – si inizia a lavorare avendo incassato anticipi necessari alla mobilitazione di uomini e mezzi. Ma di tutte queste cose ne hanno almeno sentito parlare i nostri “rappresentanti” al Parlamento o alla Regione Campania? Eccezioni doverose a parte, la sensazione è che siano quasi tutti impegnati nel non perdere il proprio comodo “posto” di lavoro in vista della tornata elettorale alle porte. Per “studiare” i problemi delle nostre imprese che dovranno sperimentare nuove ed impegnative forme di “emigrazione” - che potrebbero trasformarsi anche in processi di delocalizzazione permanente – c’ è tempo, se ne parlerà (?) nella prossima legislatura. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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