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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Qualità nella politica e modelli di sviluppo

    A volte capita di dovere ricordare che parlare di modelli di sviluppo e di processi di crescita economica significa, in realtà, ragionare – o, almeno, provare a ragionare – di politica. Perché è ben chiaro quale ruolo assumono i governi locali in tali ambiti di riferimento. In fin dei conti a fare la differenza tra territori più avanzati o meno è sempre la qualità della classe politica che essi esprimono, oltre che del ceto dirigente diffuso che si afferma (in un modo o nell’altro). Senza tergiversare sul “come” si arriva in determinate realtà ad individuare il gruppo “dominante” – perché si rischierebbe di scrivere un trattato sociologico, o, addirittura, antropologico – è il caso di richiamare alcuni concetti che, purtroppo, non sono, evidentemente, ancora patrimonio corrente in larghissima parte del nostro Mezzogiorno (e non solo). In un documento del Formez (giugno 2007) dedicato all’analisi delle varie tipologie di sportelli ed agenzie per lo sviluppo diffusi in Europa, in premessa si evidenziano alcuni concetti-chiave. In particolare ci si chiede che cosa dovrebbero mettere in campo i governi locali. “Essi - si legge - sono chiamati a diventare agenti attivi per la promozione dello sviluppo, sia attraendo capitali liberi di muoversi su scala mondiale, sia potenziando e promuovendo le risorse disponibili in loco, al fine di diventare competitivi. Ciò richiede, naturalmente, un ripensamento del modus operandi delle istituzioni locali: i governi locali incapaci di adeguarsi ai mutamenti avvenuti e tuttora in atto, non potranno sfruttare le opportunità di sviluppo che derivano dalle dinamiche dell’economia mondiale, con conseguenze facilmente prevedibili sulle economie locali”. E ancora: “L’offerta di servizi alle persone ed alle imprese, di infrastrutture moderne e funzionanti, la qualità delle risorse umane e l’efficienza dell’amministrazione pubblica, possono essere considerati i fattori della competitività di una realtà locale (…)”. Tutto deriva, però, da un presupposto di fondo: “In definitiva, dunque, le realtà locali possono diventare competitive (e seguire un percorso virtuoso di sviluppo) se i governi locali assumono un ruolo attivo nella promozione dello sviluppo e a tal fine orientano opportunamente i propri processi politici. La competitività e lo sviluppo delle realtà locali dipenderebbe insomma, più che dall’offerta di determinati fattori, dalla qualità della politica locale (…)”. E’ del tutto evidente che il modello di selezione della rappresentanza politica – attraverso il metodo introdotto dall’attuale legge elettorale – si è rivelato altamente nocivo per il Mezzogiorno: l’annullamento del vincolo degli eletti con i territori di cui dovrebbero essere espressione ha di fatto allontanato ogni fattispecie di comunanza di visione e di intenti. L’elezione diretta, poi, dei sindaci e dei presidenti di Provincia in molti casi ha, invece, avuto l’effetto di rendere “decorative” le assemblee elettive degli Enti Locali. A questo quadro bisogna aggiungere l’esigenza ineludibile di avviare un percorso di riqualificazione – basata sul merito e non sull’appartenenza politica – della macchina amministrativa pubblica. Solo dopo questi profondi e non semplici cambiamenti – e chissà tra quanto tempo – potrà riacquisire un senso il concetto di “qualità della politica” nei governi locali. Nel frattempo non sarebbe male che quanti sono gravati dalla responsabilità di rappresentare le comunità locali prendessero in seria considerazione l’ipotesi di fare qualcosa di costruttivo. Invece di giocare sempre al “risiko” delle poltrone, potrebbero tentare, almeno qualche volta, di guardare al di là delle solite elezioni dietro l’angolo ed avviare progetti e percorsi fondati sulle vere e concrete esigenze del sistema economico e produttivo. Un tempo si chiamava politica industriale, oggi potrebbe tradursi, per cominciare, in selettivi interventi sulla qualità delle infrastrutture, sulle reti dei servizi, sulla velocizzazione degli iter burocratici e sulla semplificazione amministrativa. Ma è un discorso, questo, che nasce già vecchio. Per cambiare la mentalità di una classe politica non basta una sola generazione. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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