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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • L’anticipazione di uno studio della Bers (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) pubblicata sul Corriere della Sera.Il conto lo pagano i più poveri L’Italia è il Paese (su 32 in Europa più gli Stati Uniti) nel quale il calo del reddito ha penalizzato di più quelli che guadagnano di meno rispetto a quanti guadagnano di più.

    Si corre sempre il rischio – a cavalcare strumentalmente (o meno) l’onda dei numeri positivi che di recente sta travolgendo le pagine economiche di giornali e periodici specializzati – di perdere di vista il contesto generale. Non per ostentare sempre e comunque pessimismo “gufesco” anti/Pd o anti/Governo, ma solo per rimanere con i piedi ben piantati per terra. Che la ripresa sia in fase di consolidamento – sebbene molto dipenda dalle angolature territoriali dalle quale la si osserva (basta dare uno sguardo alle differenza Nord/Sud tra i budget di spesa delle famiglie per rendersi conto che le due Italie persistono ed avanzano) – è un dato di fatto. Ma, forse, tornerebbe utile allargare lo sguardo e fare qualche calcolo a più ampio raggio. Nel ciclo della crisi recessiva il Pil è arretrato di 10 punti percentuali, la produzione industriale del 25%, gli investimenti di oltre il 30%, la produttività del 10% ed il tasso di disoccupazione (media/Italia) è praticamente raddoppiato.
    Ma il punto ancora più critico è un altro. Sull’inserto economico del Corriere della Sera di lunedì 10 luglio (a firma di Federico Fubini) è stata pubblicata l’anticipazione di uno studio della Bers (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) che evidenzia alcuni aspetti della recessione italiana in grado di dare il senso di quanto accaduto realmente in termini di ricadute sociali, oltre che strettamente economiche. L’Italia è il Paese (su 32 in Europa più gli Stati Uniti d’America) nel quale il calo del reddito ha “colpito” di più quelli che guadagnano di meno rispetto a quelli che guadagnano di più. Lo studio della Bers mette a fuoco, quindi, una chiara dinamica di aggravamento della condizione degli ultimi rispetto ai primi: tra il 2007 ed il 2012 il reddito del 10% degli italiani che guadagnano di meno è diminuito del 27%, mentre il reddito del 10% degli italiani che guadagnano di più è regredito soltanto del 4%. Tra ricchi e poveri le distanze si sono allargate in una maniera non rintracciabile altrove.
    Ma perché si è verificata questa situazione? L’autore dello studio citato da Fubini - Sergey Guriev, capo-economista della Bers - non ha dubbi. “Il modello economico mediterraneo protegge i soggetti in posizione di forza dalla concorrenza, facendo proliferare l’inefficienza, perché l’accesso alle attività non è libero, e la disuguaglianza fra chi è dentro o fuori dal sistema”.
    Le conclusioni che trae Fubini in seguito ad un’ampia ed articolata disamina confermano la sostanziale immobilità dell’ascensore sociale, dinamica fortemente rafforzata dal ciclo recessivo con gravissime penalizzazioni per le fasce giovanili alle prese con tassi di disoccupazione inquietanti soprattutto nelle regioni meridionali. “Che i ricchi preservino i loro redditi – scrive Fubini – quando un sistema (quello italiano, ndr) del genere entra in recessione – mentre i poveri no – segnala che i redditi dei primi spesso sono rendite. Non corrispondono a un genuino valore creato per la società”. E ancora: “Sono pensioni fuori scala rispetto ai contributi versati, sono prelievi esosi sulle attività altrui, sono salari e stipendi eccessivi ai piani alti delle aziende e delle burocrazie. I numeri di Guriev ci dicono che il prezzo di queste storture prima o poi qualcuno lo paga sempre. E non è un prezzo giusto”.
    Ernesto Pappalardo
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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