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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • “Aree Vaste” come risposta alla domanda di sviluppo delle zone “residuali”.Politica e Alleanze di territorio Cresce la spinta dal basso ad aggregare risorse e competenze nelle filiere dei Comuni, ma resta il macigno delle “siepi” e del localismo che tutela le rendite di posizione.

    L’argomento è di estrema rilevanza strategica per la ripartenza strutturale dei processi di crescita socio/economica in Campania e nelle aree del Mezzogiorno. E - naturalmente - potrebbe ben definirsi di braudeliana lunga durata. In sintesi: perché di fronte alle immani e difficili sfide della produttività e della concorrenza glocale non si riesce a trovare il filo concreto di una grande alleanza di territorio e successivamente di territori? E’ l’unica strada utile per provare a consolidare i germogli di ripresa che, pure, si intravedono (sebbene i livelli pre-crisi del Pil in Campania, fonte Banca d’Italia, sono assolutamente lontani, -14%). In altre parole, mentre a livello istituzionale si registrano importanti novità in sede di Regione dal punto di vista delle misure attrattive ed incentivanti in relazione agli investimenti delle imprese, appare chiaro che nella maggior parte delle aree vaste nelle quali si articolano, appunto, i nostri territori persistono visioni municipalisticamente “miopi” e manca ancora una forte determinazione a lavorare concretamente al “salto di scala”, al rafforzamento - cioè -  di iniziative finalizzate all’ampliamento del perimetro operativo delle progettualità finalizzate all’incremento delle dinamiche produttive (nel complesso dei vari comparti).
    E’ del tutto evidente che proprio l’interconnessione delle “visioni” dello sviluppo tra aree comunali contigue - non a caso interconnessione è la parola/chiave dei percorsi di digitalizzazione già avviati embrionalmente dal basso, ma molto opportunamente stimolati dal Governo anche dall’alto attraverso le misure di Industry 4.0 - costituisce il riferimento di base per rivalutare le potenzialità di crescita di vaste zone del Mezzogiorno (e non solo) ritenute “residuali”.
    Risulta molto chiaro, però, che i due pilastri di ogni piattaforma territoriale effettivamente competitiva – sistema delle imprese e “filiere” della Pubblica Amministrazione – devono assicurare un livello almeno non troppo distante di efficacia operativa. In poche parole: senza P.A. in grado di accompagnare in termini di qualità dei servizi le imprese non si può pensare di crescere in maniera significativa. Allo stesso tempo, l’affidabilità e la capacità di visione “ampia” e complessa dei singoli Comuni che scelgono di collaborare ed entrare nella logica dell’area vasta risulterà sempre più determinante per dare una prospettiva di sviluppo anche a zone del Sud e del Paese altrimenti condannate al depauperamento industriale e produttivo e/o allo spopolamento e alla rinuncia definitiva – per esempio – alle grandi opportunità dal punto di vista dell’attrattività turistica.
    La sensazione che si avverte – girando per territori “marginali” – è che lentamente si stia diffondendo la presa di coscienza che occorra un cambio di passo. La carenza (non sempre per deficit di professionalità all’interno del circuito dei Comuni) di forze ed energie adeguate alla sfida della captazione dei fondi Ue, per entrare nel cuore del problema, o del necessario miglioramento della qualità dei servizi da erogare a cittadini ed imprese, induce a “fare sistema”. Ad aggregare, quindi, competenze, fondi e progettualità. E’ la risposta giusta, evidentemente, ma occorre superare ancora l’ostacolo della politica che tende a non archiviare le “siepi” dei piccoli ma relativamente importanti “orticelli”, molto utili alle carriere e alle rendite di posizione personali. Il problema di fondo - pare di capire - è ancora legato al potere di interdizione che la (piccola) politica intende conservare al fine di continuare a gestire in maniera clientelare il consenso. Il progressivo impoverimento delle popolazioni e la riduzione della redditività delle imprese sono fenomeni che troppo spesso vengono agitati in maniera strumentale nella lotta politica. E anche questo aspetto la dice lunga sulla responsabilità delle nostre classe dirigenti.
    Ernesto Pappalardo
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE 


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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