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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Il dibattito sui nuovi modelli di sviluppo segnala l’urgenza di mettersi alle spalle la stagione del vetero/municipalismo.Tra smart city e smart land I territori “intelligenti” si collocano nella dimensione delle aree vaste e puntano ad interagire con le grandi reti per attrarre investimenti e flussi di turismi “taylor made”.

    Più si va avanti nel tentativo di mettersi alle spalle il ciclo recessivo terribile – non ancora superato nel Mezzogiorno e in molte altre zone del Paese – più prendono forma tentativi incentrati sulla necessità di valorizzare aree considerate “marginali” o “residuali” (da vari punti di vista, non solo da quello economico e produttivo), provando ad inserirle nel circuito virtuoso del rimbalzo dal locale al globale e viceversa. In altre parole, la disastrosa decisione di indebolire la dimensione istituzionale dell’area vasta - con un pasticcio veramente incomprensibile come quello che riguarda le Province - ha favorito la presa di coscienza da parte di Comuni “illuminati” (anche non necessariamente piccolissimi) del cosiddetto “salto di scala”. Comuni che si sono resi conto dell’urgenza di non continuare ad applicare il vecchio schema del municipalismo identitario che ha troppe volte significato avviarsi senza scampo sulla strada della desertificazione socio/economica. Da qui il rafforzamento – ancora allo stato embrionale, va detto – di una serie di esperimenti che, pure, disegnano una micro/tendenza, rappresentando, in ogni caso, modelli di riferimento in assenza di una politica centrale e regionale ben percepibile in questo delicato e strategico ambito di azione istituzionale.
    Le “alleanze” tra Comuni - con la messa a sistema di servizi per la cittadinanza condivisi e progettualità concepite con l’obiettivo di attivare ricadute più “larghe” ed ampie rispetto ai confini municipali - segnalano il sintomo di una condizione molto difficile di intere aree del Paese che non riescono ad interloquire adeguatamente con la cosiddetta “filiera istituzionale” in modo da cogliere risultati rispondenti alla gravità delle problematiche che emergono nei territori.
    In tempi di imperanti slogan legati alla necessità di “convertire” la città “tradizionale” in “smart city”, è abbastanza chiaro che la vera partita si gioca sulla diffusione di un altro modello operativo che è quello degli “smart lands”. Se la città o, comunque, il Comune più aggregante rispetto all’area vasta circostante resta (o, meglio, dovrebbe sforzarsi di restare) il centro propulsivo ed orientante rispetto alle politiche di sviluppo, è altrettanto chiaro che nei Comuni limitrofi va incentivata una reazione dialogante.
    E, invece, ci ritroviamo ancora in presenza di “riflessi difensivi” non si sa più bene di che cosa, se non del micro/potere locale riconducibile a notabilati che hanno ripreso slancio a partire dal 1993, anno dell’introduzione dell’elezione diretta dei sindaci destinatari di ampie autonomie gestionali e politiche.
    Ora, però, l’asse prioritario si sposta verso le dinamiche economiche e produttive che non si ritrovano nella dimensione angusta di vetero/municipalismi inadatti a stimolare convenienze attrattive per progetti imprenditoriali in grado di ampliare l’offerta di lavoro e di opportunità professionali rispetto ad una domanda molto diffusa.
    Eppure, proprio nelle aree “residuali” si stanno verificando fenomeni endogeni di strutturazione di filiere intercomunali legate principalmente al patrimonio ambientale e paesaggistico che “fa sistema” con l’agricoltura e con tutti i percorsi che conducono alla produzione di cibo e vino e di qualità.
    In estrema sintesi, si vanno modellando dal basso nuove offerte di turismi compatibili con il paradigma dei pacchetti “taylor made”, ritagliati, cioè, su misura dei nuovi target, fortemente determinati a scegliere in maniera autonoma dai circuiti tradizionali la propria vacanza. O, meglio ancora, l’articolazione del proprio tempo libero, a prescindere dalle stagioni tradizionalmente dedicate al riposo o al relax. E’ in questo contesto che possono nascere i “territori intelligenti” nei quali i Comuni si consorziano e puntano decisamente a migliorare gli standard di vivibilità, non solo per i nuovi turisti, ma anche (preliminarmente) per i residenti che in questo modo svolgono un ruolo proattivo nel processo di trasformazione.
    In questa logica di “competitività” interagente con le grandi reti infrastrutturali e produttive si inserisce il processo evolutivo delle imprese del manifatturiero green oriented (inclusive ed a basso impatto ambientale), centri propulsori sostanziali per la creazione di valore aggiunto. L’alleanza tra primario, turismo e servizi non esclude – anzi, include e stimola – il percorso di crescita innovativa ed alto contenuto tecnologico del manifatturiero orientato alla digitalizzazione dei processi.
    I territori più avanzati – che già vantano positivi riscontri in termini di aumento del reddito diffuso e di occupazione – sono completamente calati in questa visione. Più “smart lands” e meno solitarie “smart cities” configurano il profilo del cambiamento che è già partito in molte zone d’Italia e solo in poche del Sud.
    Ernesto Pappalardo
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE
     


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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