Glocal di Ernesto Pappalardo
Diventa sempre più difficile distinguere tra notizie e “narrazioni” con l’effetto di generare comportamenti anomali.Il sentiment? Prevale sulla realtà Nella società del’info/comunicazione il percepito (l’esito finale del racconto mediatico) si mescola con la realtà e genera comportamenti sorprendenti.
Diventa sempre più difficile orientarsi nell’offerta quotidiana di informazione relativa alle dinamiche dell’economia e della politica. L’impresa è ancora più ardua se proviamo a fare riferimento alla “lettura” degli indicatori che riguardano ambiti importanti come l’occupazione, lo sviluppo, l’andamento delle aziende e dei vari comparti produttivi, del risparmio, dei consumi, etc etc. Il bombardamento costante di cifre, numeri, dati, analisi di esperti/tecnici e di politici/tecnici o – per essere più precisi – politici/tuttologi contribuisce a creare una miscela perfetta per annullare qualsiasi tipo di messaggio chiaro ed efficace. D’altro canto, non è affatto un luogo comune l’antico principio basato proprio sulla consapevolezza che l’eccesso di informazione azzera il messaggio. E’ anche così che si confondono le acque; che si può sostenere tutto ed il contrario di tutto approfittando della scarsa memoria mediatica dell’utente finale della filiera dell’informazione.
In questo variegato e pericoloso contesto finisce con il prevalere la logica dell’incertezza o, peggio ancora, della capillarizzazione di convincimenti radicalmente polarizzati (in genere verso l’area con il segno meno) . Si arriva, cioè, facilmente a sostenere “visioni” improntate ad un pessimismo strutturale, non aperto, cioè, ad eventuali rettifiche o all’accoglimento di cambiamenti in positivo. E’ ovvio che il nero ed il bianco attraggono di più. Ma, molto spesso, la tonalità più vicina alla realtà è il grigio, soprattutto durante cicli economici caratterizzati dall’incertezza dovuta a tanti fattori endogeni ed esogeni alle varie economie. Insomma, la strumentalizzazione - da qualsiasi attore provenga - non giova a nessuno. Perché crea aspettative o incentiva previsioni non aderenti alla realtà.
Qualche esempio pratico per entrare nel merito di questi effetti distorti dell’interpretazione di dati e notizie. Come va l’economia del Mezzogiorno? Bene o male? Bene, perché migliora rispetto al periodo immediatamente precedente (e ci mancherebbe: difficile scendere più giù). Male, perché il contesto generale di riferimento segnala che le distanze con la parte più evoluta del Paese e dell’Europa (perché - è bene ricordarlo - il confronto vero dovrebbe essere con l’Europa e non solo con il Centro ed il Nord dell’Italia) restano molto ampie. Chi ha ragione e chi ha torto? Complicato rispondere. Facile cavalcare questo o quel dato per evidenti ragioni di interesse politico, ma non solo politico.
Appare naturale a questo punto che il “sentiment” del semplice e disarmato cittadino/utente finale, obiettivo principale del martellamento quotidiano, diventi la bussola preminente rispetto ad altre ben più adatte a misurare lo stato effettivo dell’arte. La confusione consapevolmente alimentata induce a fare i conti sia con il “percepito” (di gran lunga più determinante rispetto alle scelte di persone e famiglie) che con il “reale/reale”. In altre parole, nella società del’info/comunicazione il “percepito” (l’esito finale del “racconto” mediatico) si mescola con la realtà delle cose (i soldi effettivi sul conto in banca, il figlio che vive a casa e non ha lavoro etc etc etc) e genera comportamenti determinanti per le scelte della politica e degli altri attori preminenti in un’organizzazione economica e sociale. E’ così che ci troviamo di fronte a corto-circuiti devastanti che finiscono con il paralizzare proprio coloro che attraverso l’info/comunicazione intendevano raggiungere obiettivi inizialmente diversi.
E’ del tutto evidente che l’insieme delle varie filiere professionali che fanno riferimento alla “produzione” di notizie ed alla costruzione del clima mediatico deve recuperare maggiore consapevolezza della propria missione civica. Va bene tutto - la rincorsa all’audience ed alle copie perdute, lo storytelling etc etc etc - ma il rispetto della notizia e la “religione” della corretta relazione con l’utente finale non può venire meno. Se si supera – ed è già stata ampiamente superata – la soglia della notizia vera e non smentibile, è inevitabile la prevalenza della confusione e della strumentalizzazione.
E, invece, se si ripartisse dalle regole d’oro della separazione dei fatti dalle opinioni; della verifica delle fonti (incrociandole per quanto possibile); della semplificazione dei dati e della loro descrizione (non interpretazione a tutti i costi) dei numeri; avremmo l’effetto che il “percepito” non sopravanzerebbe il “reale/reale”. E non provocherebbe – per esempio – l’effetto freno/tirato sui consumi anche da parte delle famiglie che possono spendere, ma non lo fanno, perché hanno la “percezione” che il loro futuro possa essere peggiore di quello che – in realtà – sarà. A spese di intere catene di produzione e di commercializzazione.
Ernesto Pappalardo
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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