Glocal di Ernesto Pappalardo
Studi e ricerche confermano la necessità di implementare l’educazione ad una sana e corretta alimentazione.Food, paradossi e diete “Mentre gli altri provano ad imitare l’Italian Style of Life, proprio il nostro Paese si allontana dal modello mediterraneo”.
La relazione con il cibo, la centralità sempre più predominante del food nella vita delle persone, la crescita rilevante dei vari tipi di business che ruotano intorno all’alimentazione si confermano temi “trasversali” a vari ambiti di riferimento a cavallo tra la sfera privata e quella pubblica, oltre che, naturalmente, economica. La massa consistente di dati resa nota in occasione di una manifestazione importante come “TuttoFood” conferma che gli stili di vita attraversano una fase di profondo cambiamento, generando la nascita di nuove dinamiche sociali e produttive. Quello che appare assolutamente certo è la necessità di implementare il più possibile interventi finalizzati alla massima diffusione dell’educazione di base ad una sana e corretta alimentazione. Il Censis ha posto in evidenza numeri che fanno riflettere. Qualche esempio: 1,9 milioni di italiani si auto-definiscono amanti del cibo spazzatura e 1,2 ingordi (mangiano troppo di tutto). Con il 10,3% di obesi (dati 2014) l'Italia si colloca in Europa ancora al penultimo posto (superata solo dalla Romania), molto al di sotto della media dei 28 Paesi (15,9%) e più ancora rispetto ai tassi di obesità di Australia (27,9%) e Stati Uniti (38,2%). Ma in dieci anni gli obesi sono pur sempre aumentati del 4%. E le persone sovrappeso (36,1%) hanno fatto registrare il +6%. Se aumenta il rischio di insorgenza di patologie, ne consegue non solo l’allargamento dell’area di popolazione alle prese con disturbi abbastanza gravi, ma anche la crescita dei relativi costi per la sanità.
E’ un problema, si desume, di affermazione di modelli comportamentali. Evidentemente è molto forte l’influenza di campagne pubblicitarie martellanti e molto spesso fuorvianti o, addirittura, diseducative. Insomma, di fronte alla “confusione” alimentare è indispensabile reagire con la corretta informazione. Non a caso, sempre il Censis rimarca come “la buona dieta italiana è la soluzione ai pericoli della cattiva alimentazione” ed indica un grave rischio nella “grande diffusione delle diete fai da te”.
Bisogna, poi, fare riferimento anche ai comportamenti legati alla scansione dei tempi e dei ritmi delle giornate lavorative. L’analisi della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) conferma che “si mangia sempre più fuori casa: oggi il 35% della spesa alimentare delle famiglie è indirizzato su bar, ristoranti, pizzerie, gelaterie, pasticcerie”. Si riduce la spesa per pane e cereali (-7,5% nel periodo 2000-2015) e per la carne (-8,1%) ed “i consumi di pasta e dessert scendono in casa ma resistono al ristorante”.
Insomma, non resta che ripartire dagli anni della scuola e tentare di impostare un percorso educativo basato prima di tutto sulla salvaguardia della salute per arrivare alla piena consapevolezza degli effetti deleteri di una dieta squilibrata.
Sotto l’aspetto più strettamente economico è abbastanza chiaro che soltanto il rispetto delle regole da parte del circuito produttivo - a cominciare dalle informazioni corrette da fornire al consumatore – è la migliore garanzia di salubrità degli alimenti. Il meccanismo dei controlli e della repressione delle frodi fa la sua parte, ma in primo luogo è l’etica d’impresa che può dare una svolta sostanziale.
Situazione, quindi, in grande evoluzione. Con il paradosso che mentre gli altri provano ad imitare la Dieta Mediterranea e l’Italian Style of Life, proprio noi ci allontaniamo da questi due paradigmi così invidiati ed imitati.
Ernesto Pappalardo
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
| |