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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • I risultati della ricerca condotta nell'ambito del progetto “Fuori dal letargo: soluzioni per una buona crescita”.Contro la crisi? “Cash cautelativo” L'analisi del Censis. Il 67,2% (e il 69,3% dei millennials) teme il declassamento sociale.Il 65,4% del ceto medio ha paura di dovere rinunciare al proprio benessere. Mobilità sociale bloccata e insicurezza diffusa.

    Gli effetti del lungo periodo recessivo non sono soltanto materiali e concretamente presenti nella quotidianità delle persone e delle famiglie. Esistono anche conseguenze di tipo psicologico che, però, generano allo stesso tempo comportamenti statisticamente rilevabili (e rilevanti), perché si ripercuotono molto negativamente sul ciclo economico. La recente ricerca del Censis condotta nell'ambito del progetto “Fuori dal letargo: soluzioni per una buona crescita” - realizzato con il contributo di Fondazione Cariplo-Regione Lombardia - consente una ricostruzione molto dettagliata ed approfondita di come il rischio percepito di perdere posizioni nella scala sociale induca una fetta consistente della popolazione a non mettere in movimento il proprio reddito ed i propri risparmi in maniera adeguata rispetto alle possibilità economiche di cui dispone. Il fenomeno del “cash cautelativo” costituisce uno dei maggiori freni alla ripartenza dell’economia ed è particolarmente diffuso in quello che un tempo era definito “ceto medio”. In altre parole l’insicurezza e la paura di un futuro peggiore del presente induce a vivere al di sotto di standard che potrebbero tranquillamente essere adottati come riferimento del proprio day by day.
    “Il 67,2% degli italiani - spiega una nota del Censis - è convinto che oggi sia facile cadere in basso da una classe sociale all'altra. In particolare, il capitombolo sociale è ritenuto facile dal 69,3% dei millennials, dal 67,6% dei baby boomers e dal 63,4% degli anziani. Il 65,4% delle persone che si autodefiniscono ceto medio considera la caduta in basso facile, così come il 67,5% della classe lavoratrice, ma anche il 62,1% dei benestanti”. Un malessere, quindi, che interessa un campione di popolazione estremamente ampio e variegato.
    Ma le percentuali aumentano (e non di poco) se si fa riferimento al miglioramento delle proprie posizioni. “L'84,7% ritiene che oggi sia difficile salire nella scala sociale (per il 52,2% è molto difficile). In particolare, è difficile per l'87,3% dei giovani (per il 52,5% è molto difficile), per l'85,7% dei baby boomers (per il 53,2% è molto difficile), per il 78,8% dei longevi (per il 49,5% è molto difficile)”. Per il Censis “siamo una società di persone convinte di avere sulla testa tetti insuperabili e sotto i piedi pavimenti friabili”. Solo “quote residuali” di giovani (appena il 12,7%) e di baby boomers (il 14,3%) pensa che sia possibile migliorare. “L'ascesa sociale - specifica sempre il Censis - è considerata difficile dall'83,5% delle persone appartenenti al ceto medio, dall'86,6% delle persone che si auto-collocano nella classe lavoratrice e anche dal 71,4% dei più abbienti”. Insomma, “niente mobilità in alto e tanta paura di cadere in basso.” Da qui il ricorso ad un accumulo di cash immediatamente disponibile: dal 2007 a oggi è aumentato di 133 miliardi di euro, pari al triplo del Pil di un Paese comunitario come la Croazia.
    Eppure - analizza la ricerca – “gli italiani di oggi hanno alle spalle storie familiari di ascesa sociale. Tra le persone del ceto medio ben il 43,7% proviene da famiglie di livello socio-economico più basso: l'8,5% da famiglie popolari e il 35,2% da famiglie della classe lavoratrice. Per il restante 49,6% della classe media di oggi la famiglia di provenienza apparteneva già al ceto medio e solo il 6,4% proviene da famiglie abbienti”. E i benestanti attuali “provengono per il 35,5% da famiglie del ceto medio e per il 22,6% da famiglie lavoratrici: un eloquente esempio di mobilità sociale verso l'alto”. Un tempo non molto lontano “la mobilità verso l'alto era il motore trainante della vitalità economica e sociale. Oggi il blocco verso l'alto e lo scivolo facile verso il basso generano inerzia da paura”. Insomma, i danni “morali” della crisi pesano eccome, in maniera molto più grave di quanto si possa pensare.
    (Fonte: censist.it/ 29.04.2017)


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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