Glocal di Ernesto Pappalardo
Analisi e dati recenti confermano la capacità attrattiva del patrimonio artistico di tante aree del Mezzogiorno.Turismo & occasioni perdute Offerte troppo frammentate; poco dialogo tra i “pezzi” di un’unica “filiera” che dovrebbe mettere insieme i punti di forza dei territori: ambiente, enogastronomia, musei e giacimenti archeologici.
Il giacimento di tesori artistici e culturali resta il fattore attrattivo in termini turistici più importante che abbiamo in Italia e nel Mezzogiorno. E’ una considerazione confortata da tutta una serie di numeri e di analisi che sono state rese note recentemente e che anche l’Osservatorio dedicato al turismo della Confcommercio conferma in maniera inequivocabile. “Nei prossimi tre mesi, la motivazione di viaggio principale degli italiani rimane quella di visitare musei, monumenti o mostre”, si legge in una nota di sintesi. Quasi quattro italiani su cinque hanno intenzione di trascorrere le proprie vacanze in Toscana, Lazio e Lombardia con una motivazione estremamente chiara: viaggiare a scopo culturale. Insomma, il quadro è ben definito. Eppure, nonostante le dinamiche più recenti evidenzino come una gestione più proattiva e propositiva di siti archeologici e musei abbia già dato una scossa importante e significativa, non si configura ancora una vera e propria “rivoluzione” di sistema capace di integrare la straordinaria varietà di offerta turistica che il nostro Paese - e al suo interno il Sud in primo luogo - è in grado di mettere in campo.
Se si allarga lo sguardo ai flussi strategici del turismo internazionale, ci si rende conto come la competizione in atto costituisca un banco di prova facilmente valicabile (sostengono numerosi ed autorevoli esperti del settore) a patto che si giunga presto alla realizzazione di “filiere” dialoganti e non separate da anacronistici muri di gomma. Di quali “filiere” si sta parlando? Di “filiere” che si estendono dal terreno dei campi alla tavola; dai paesaggi unici e bellissimi di tanta parte d’Italia alle coste ed al mare che circonda l’intera penisola; per arrivare all’irripetibile patrimonio delle produzioni enogastronomiche fitto di tipicità uniche al mondo. Ed “in mezzo” ci sono le “reti” di musei e di siti di rilievo archeologico mondiale che possono rivelarsi il vero tessuto connettivo di proposte capaci di attrarre flussi di visitatori ben più consistenti di quelli attuali. E, soprattutto, di aumentare il loro tasso di permanenza (e, quindi, di spesa) sui nostri territori. In altre parole, siamo di fronte alla possibilità di un salto epocale mediante il quale stimolare ricadute molto cospicue in termini di redditività e di occupazione. Le “filiere” turistiche estese e capillarmente diffuse si configurano come la “frontiera” da raggiungere al più presto per non continuare ad essere superati – in capacità attrattiva – da aree geografiche meno dotate dal punto di vista culturale ed ambientale, ma certamente meglio organizzate e gestite, pronte a mettere sul piatto “pacchetti” di soggiorno più completi e meno costosi dei nostri. Per non parlare, poi, della polverizzazione dei processi promozionali soprattutto all’estero. Quante Italie, quante regioni, quante province, quanti comuni viaggiano per fatti propri senza parlarsi e proporre, invece, un’unica ed irresistibile “narrazione” fortemente identitaria?
E’ vero, qualcosa sta cambiando rispetto agli anni scorsi. Ma ancora troppe cose sono lasciate all’improvvisazione ed all’intraprendenza dei singoli territori che, invece, dovrebbero convogliare maggiori energie sulla “costruzione” delle “filiere” integrate cui si accennava prima. Gli effetti a cascata di questi sterili municipalismi generano ancora economie locali anguste ed in ritardo di crescita proprio in un settore che dall’ampliamento dell’offerta potrebbe trarre enormi vantaggi.
Quanto tempo dovrà ancora passare – soprattutto al Sud – per avere un catalogo digitale delle offerte integrate dedicate ad aree/distretti turistici sempre più vaste? Ad aree/distretti turistici al cui interno gli attrattori culturali ed ambientali dialogano con quelli agricoli/enogastronomici e paesaggistici? Dove questo esperimento è stato avviato virtuosamente da qualche tempo (Umbria, Puglia, Toscana, Veneto, Trentino, gli esempi più noti) il turismo è un’industria importante che genera reddito ed occupazione a pieno ritmo. Altrove, tutto appare ancora quasi un miraggio.
Ernesto Pappalardo
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
| |