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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Non esiste ancora una “cultura” dell’attrazione degli investimenti (pubblici e privati) sulla base di progetti capaci di generare economie di scala significative.Aree vaste e “cacicchismi” Il ridisegno dei confini della “geografia” dello sviluppo in provincia di Salerno si infrange troppo spesso sul muro della “cristallizzazione” delle “letture” economiche e sociali dei territori.

    Nelle ultime settimane abbiamo pubblicato su salernoeconomy una serie di approfondimenti - realizzati con la preziosa ed indispensabile collaborazione di Paolo Coccorese e Pasquale Persico - che hanno confermato da un lato la particolare ed originale connotazione socio/economica dei vari comprensori territoriali che compongono la nostra provincia; dall’altro l’esigenza di porre al più presto mano ad un’efficace azione di valorizzazione delle “differenze” attraverso piani di sviluppo che tengano conto delle aree vaste di fatto esistenti nel Salernitano. Due step importanti e propedeutici al percorso che – prima o poi –  potrebbe/dovrebbe giungere ad un piano di sviluppo dei piani (sub-provinciali) di sviluppo elaborando una visione innovativa, fondata sostanzialmente su filiere istituzionali ed amministrative dinamiche ed inclusive. Messa così può sembrare la scoperta dell’acqua calda, ma, in realtà, si tratta di un’operazione abbastanza complessa per una serie di fattori che abbiamo spesso cercato di sintetizzare ricorrendo a termini come “localismo”  o “neo-municipalismo”, atteggiamenti intesi come ostacoli a processi aggregativi indispensabili per compiere un “salto di scala”. Ma il cammino nella direzione del ridisegno dei confini della “geografia” dello sviluppo in provincia di Salerno - come nella stragrande maggioranza delle province del Mezzogiorno (ed anche di altre zone d’Italia) - si infrange troppo spesso anche sul muro della “cristallizzazione” delle “letture” economiche e sociali dei territori. Siamo in presenza, cioè, di una “resistenza” (prevalentemente silente e passiva) molto ben radicata che trova la sua ragione prioritaria nella forza ancora prevalente delle cosiddette “rendite di posizione” - non solo politiche, ovviamente - e nei blocchi consolidati di interessi che ovviamente non hanno alcuna fretta di confrontarsi con l’esigenza di avviare dal basso meccanismi automatici (senza intermediazioni) di sostegno operativo (finanziario, formativo, amministrativo, tecnico etc etc) ai processi endogeni di imprenditorialità ed auto/imprenditorialità. Eppure i fermenti positivi non mancano. Basta dare uno sguardo ai numeri delle imprese guidate da “under 35” all’interno delle quali spiccano quelli riferiti al comparto agricolo con una netta prevalenza di aziende multifunzionali.
    Resta, purtroppo, una sostanziale distanza tra modelli individuati per settori ritenuti – anche giustamente – trainanti e modelli, invece, realmente nuovi, “contaminanti”; modelli, cioè, che creano interazioni virtuose sulla base dell’unica ricchezza che può fare la differenza a livello glocale: i territori. La “messa a sistema” dei tanti giacimenti che ogni sub-comprensorio provinciale possiede (agricoltura-beni culturali-ambiente-paesaggio-turismo-turismi-manifattura di qualità, artigianato etc etc) - significa promuovere un modello che punta ad elevare gli standard dell’offerta nel suo insieme, generando positive ricadute sulla qualità della vita dei residenti in primo luogo ed anche (è chiaro) dei flussi di visitatori. Per compiere questo percorso occorre lavorare non poco sull’efficienza dei servizi – per esempio – per cittadini ed imprese; occorre concentrarsi sulla manutenzione delle reti infrastrutturali (oltre che – dove necessario – sulla loro implementazione); occorre favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Insomma, un’operazione complessa che dovrebbe avere nelle filiere istituzionali ed amministrative il punto di riferimento e non il punto di sbandamento. Prevale, invece, un atteggiamento fortemente “esclusivo”: nel “mio” perimetro” comunale comando io, “faccio da me”, “seguo la mia cordata politica”. I risultati sono sotto gli occhi di noi tutti. Non esiste ancora una “cultura” dell’attrazione degli investimenti (pubblici e privati) sulla base di progetti di ampio respiro, capaci di generare economie di scala significative; il gioco di squadra è una metafora eminentemente calcistica. Il “cacicchismo” è la corrente più diffusa tra sindaci ed amministratori locali: dai grandi ai medi ed ai più piccoli Comuni. Senza uno scatto civico il dualismo italiano è destinato a diventare ancora più radicato. Ed i ragazzi con la valigia ed una laurea nel cassetto continueranno a scegliere – per forza di cose – Londra e Berlino per realizzare il sogno di un lavoro e di una vita non precari.
    Ernesto Pappalardo
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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