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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Il “traino” della città capoluogo ha bisogno di una “cornice” sistemica per mettere insieme reti produttive e di servizi complesse.La “Grande Salerno” è “green” e tecnologica "Manifatturiero innovativo, turismo ambientale e agro-industria di qualità legata al  territorio. Così può ripartire il progetto di un’area urbana aperta e fortemente attrattiva".  

    di Pasquale Persico e Ernesto Pappalardo
     
    Questo articolo è apparso sul Mattino (Edizione Salerno) sabato 3 dicembre. E’ il secondo di una serie di approfondimenti che si pongono l’obiettivo di contribuire ad individuare i nuovi profili economici e produttivi potenzialmente realizzabili del territorio provinciale diviso in quattro sub/comprensori.
    Tutti gli indicatori economici che riguardano l’agglomerato territoriale composto dal perimetro municipale sul quale insiste la città di Salerno e dalle aree confinanti direttamente ed in minima parte indirettamente (Valle dell’Irno, Picentini, Piana del Sele/Alto Sele, litorale costiero fino ad Agropoli/Paestum) - escludendo la Costa d’Amalfi che permane in una condizione di splendido “isolazionismo dorato” - conducono alla constatazione di un’identità “in bilico”, un vero e proprio “ibrido” non fertile. Incapace, cioè, di generare percorsi di sviluppo sostenibili in grado di dare risposte alla drammatica crisi occupazionale (soprattutto under 40) e di reddito pro/capite che pongono la nostra provincia in condizioni di sofferenza (oltre che di siderale lontananza rispetto ai territori più avanzati del Paese). E’ evidente che la sindrome neo/municipalistica - fortemente predominante a partire dagli anni ’90 e legata all’elezione diretta dei sindaci - ha giocato un ruolo non secondario (sebbene inizialmente del tutto positivo dal punto di vista del recupero della consapevolezza di “essere comunità”) nella sedimentazione di una frattura capoluogo/resto della provincia. Salerno ancora oggi continua a percepirsi “altro” rispetto ai sub/comprensori che la circondano, molto più smart/city che smart/land, dimenticando l’urgenza di “riconquistarsi” il ruolo di orientamento delle politiche di sviluppo complessive del Salernitano come accade in tutti i territori inclusivi (e virtuosi) d’Italia. E’ certo che il “traino” positivo della città/capoluogo ha assolutamente bisogno di una “cornice” sistemica per mettere insieme reti produttive e di servizi complesse, che consentirebbero il “salto” di scala non solo dal punto di vista della governance dei processi amministrativi - il disastro della polverizzazione dei fondi Ue è un monumento permanente alle occasioni perdute - ma anche sul versante dell’indispensabile realizzazione di “filiere asimmetriche” di imprese (Censis) basate sulla ri/valorizzazione di agricoltura; agro-industria; paesaggio; ambiente; beni culturali; turismi. In questo modo l’area industriale della città di Salerno diventa il naturale attrattore di industrie ad alto valore aggiunto di innovazione tecnologica in stretta connessione con i segmenti produttivi sopra citati e, nello stesso tempo, si trasforma in polo attrattivo di investimenti destinati ad aziende (tra cui, le start up, appunto innovative) che possano giovarsi anche delle (non poche) competenze universitarie. In altre parole, la non più rinviabile reindustrializzazione dell’area del capoluogo passa attraverso l’assimilazione del paradigma di “Industry 4.0”: manifatturiero compatibile con i nuovi turismi che vengono attratti dal “food” legato a doppio filo con il recupero e la promozione del paesaggio e la tutela dei territori con prioritaria attenzione alla valorizzazione dei beni culturali e della risorsa/mare. E’ in questo modo che si “riammagliano” vocazioni attualmente “disconnesse”, mettendo da parte un postulato sbagliato: o il turismo ed i servizi innovativi o l’industria in senso stretto e la logistica. L’abilità del pubblico va ricercata proprio nella capacità di disegnare una cornice - spingendo molto sull’attrattività “fiscale” di livello locale e regionale - larga, inclusiva: non premialità ai settori, ma alla qualità delle diverse tipologie di imprenditorialità aperte alla crescita dimensionale. Non mancano segnali incoraggianti: la provincia di Salerno rientra - per esempio - nella top venti dei territori con più aziende “green” (Rapporto “GreenItaly 2016) che ha preso in considerazione il valore assoluto di imprese (con almeno un dipendente nei settori dell’industria e dei servizi) che tra il 2010 e il 2015 hanno investito - o prevedono di investire nel 2016 - in prodotti e tecnologie a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale; e di attivare assunzioni non stagionali di “green jobs”. La provincia di Salerno si colloca al quindicesimo posto con 6.430 imprese e 490 contratti disponibili.  
    Il concetto di “Grande Salerno”.
    Il riferimento più adattabile alla “Grande Salerno” è quello della “Grande Genova”,  ovvero la Genova che si estende per oltre 35 km lungo la costa dalle scogliere di Nervi ai pietrosi litorali di Voltri ed all’interno nelle vallate di Polcevera e del Bisagno. Un’idea che risale al 1926 quando 19 autonomi comuni del “Genovesato” furono aggregati. Si trattò di una “fusione a freddo”, cioè per decreto ed, infatti, oggi Genova non percepisce i quartieri come proprie appendici, ma come piccole cittadine da riposizionare nuovamente rispetto ai temi dell’area metropolitana.
    Nel caso di Salerno (ed in relazione alla necessità di fare salire di scala l’efficacia e l’efficienza dei servizi di nuova urbanità), sul lato costiero, il risanamento ed il recupero non può non comprendere i comuni di Pontecagnano Faiano, Eboli, Capaccio-Paestum  ed Agropoli. Sul versante un poco più interno, un salto di scala della visione programmatica deve prendere spunto dalla fisiografica della Piana del Sele e risalire i fiumi Sele (e, quindi, anche Alto Sele) e Picentino, includendo la Valle dell’Irno.
    Le ragioni della “Grande Salerno”.
    Ma quali sono le ragioni sostanziali di accelerazione di tale processo? Proprio gli autori del presente contributo nel libro di cronaca e commento della trasformazione urbana di Salerno nel periodo 1994-98, poggiarono le loro raccomandazioni sulla relazione “Identità/Sviluppo”, richiamando la necessità di prevedere sempre una metamorfosi nel processo di acquisizione di un nuovo profilo identitario di una città che vuole realisticamente rimanere contemporanea. Ecco, allora, che sottovalutare il potenziale dell’area urbana a forte valenza ambientale che il territorio della “Grande Salerno” possiede, significa allontanarsi dalla glocalizzazione virtuosa legata alle nuove tecnologie ed alla forza pervasiva della finanza anche nelle sue forme più partecipative.
    Il “salto” necessario.
    E’ indispensabile un “salto” in mare aperto, occorre creare una nuova soggettività istituzionale (non più incentrata soltanto sul comune capoluogo), ma derivante dal  mixage tra governance orizzontale e government verticale per dare una svolta all’incompletezza della legge Del Rio, ma soprattutto per andare incontro a nuovi modelli di economia partecipata in grado di valorizzare e supportare i neo/protagonismi territoriali resilienti.  
    Da dove (ri) partire?
    Un viabilità di accesso alle grandi reti più o meno (re) esiste; un potenziale legato ai corridoi europei di mobilità veloce di merci e persone è in fase di consolidamento; la struttura manifatturiera “storica” attualmente in crisi potrebbe essere rilanciata attraverso la visione/valorizzazione/incentivazione del terziario manifatturiero più in grado di sfruttare le economie di rete latenti nel rapporto tra finanza e ricerca , tra cultura del fare e territori. La  Piana del Sele è un esempio di nuova vitalità economica e produttiva (quarta e quinta gamma in primis), ma soffrirà se non scioglie un nodo strutturale come la tutela dell’ambiente. La Valle dell’Irno deve ancora mostrare il suo potenziale di integrazione e sviluppo rispetto ai temi della formazione e della ricerca fino a sfruttare pienamente il fattore/capitale umano.
    I nuovi servizi per le comunità residenti.
    Resta, in ogni caso, il deficit di produzione  di nuovi servizi di qualità ad urbanità diffusa: sanità, mobilità, istruzione ed accoglienza. Senza questo presupposto di base la “Grande Salerno” rischia di inglobare un’area vasta desertificata demograficamente. La prevenzione del rischio ambientale urbano (salute) e non urbano (cambiamento climatico e geomorfologia in ristrutturazione, tipo frane ed erosione) rappresenta il presupposto del dialogo fondamentale tra smart city e smart land che insieme costituiscono il telaio della nuova “Grande Salerno”.
    (2-continua)
     


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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