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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Le analisi pubblicate nelle ultime settimane confermano una sostanziale frenata della “ripresa” nelle regioni meridionali.
     
    Sud prigioniero della “guerra” dei numeri Superata la data del referendum costituzionale sarebbe il caso di entrare in una fase più “operativa”. Ma, si sa, conclusa una campagna elettorale, ne inizia sempre – purtroppo – un’altra anche molto prima di una non ben identificata scadenza nelle urne.

    La raffica di numeri (di fonte molto autorevole) diffusi nelle ultime settimane sullo stato di salute dell’economia della Campania e del Mezzogiorno lascia la sensazione che di fronte ad un rinnovato slancio ormai alle spalle - frutto di fattori non strutturali, per la verità -  ritorni a materializzarsi un periodo alquanto incerto in piena continuità con un ciclo di “galleggiamento” (e per lunghi tratti di diffuso arretramento) che è durato fin troppo al lungo. Se, poi, vogliamo aggrapparci alla retorica del segno più o dello zero virgola, possiamo certamente “ufficializzare” che la crisi è un paradigma superato. Ma sono tanti e tali gli indizi che certificano come non sia in atto una vera e propria ripartenza - pur cogliendo qua e la segnali molto positivi - che lascia molto perplessi il racconto così positivo della politica nostrana ben sostenuto dalla “narrazione” del governo centrale. Il fatto è che si tende a dimenticare la drammatica distanza tra le due Italie in termini di qualità e tenore di vita incentrata sul reddito disponibile per le famiglie del Centro/Nord e del Sud. Insomma, sarebbe opportuno tenere sempre conto del divario reale che permane e che solo di recente non si è ancora ulteriormente ampliato. Sarebbe, cioè, opportuno tenere sempre conto del grave disagio sociale che è molto più consistente al Sud (ed in modo più netto in Campania e Sicilia) rispetto alle regioni settentrionali. E, invece, il grande “lenzuolo” della campagna per il referendum - una vera e propria campagna elettorale nel senso più deleterio della competizione politica tra quello che resta dei partiti e delle correnti dei partiti - tende a coprire l’esatta descrizione dello stato delle cose. Si enfatizzano micro/riprese e si interpretano numeri e statistiche con un solo obiettivo: portare a casa un “sì” o un “no” nell’urna del 4 dicembre, mettendo da parte un’analisi obiettiva e corretta delle dinamiche in atto. Dinamiche che suggeriscono di porre mano fin da subito prioritariamente all’accelerazione degli investimenti pubblici, senza ulteriori e veramente insopportabili demagogie alla luce del disastro che è sotto gli occhi di tutti. E, nello stesso tempo, di sostenere ed accompagnare - non solo con politiche di vantaggio fiscale - gli investimenti privati. Gli sgravi varati dal governo al fine di favorire il decollo di “Industry 4.0”, per esempio, potranno essere realmente captati in misura consistente dalla maggior parte delle micro e piccole imprese meridionali che non ha liquidità sufficiente per avviare processi di innovazione tecnologica nell’ambito del proprio ciclo produttivo e percorsi di qualificazione e riqualificazione della forza/lavoro?  
    Sullo sfondo si conferma la situazione di grande stallo (soprattutto in termini di investimenti privati) derivante dalla preoccupazione per un contesto che non sembra segnare alcuna discontinuità gestionale delle varie filiere istituzionali rispetto agli anni passati. Le Pubbliche Amministrazioni, nonostante qualche sforzo più propagandato che percepito, restano prigioniere di un’immagine disastrosa: inaffidabili e lente come tartarughe; incapaci di rispettare tempi accettabili nei procedimenti che coinvolgono le imprese e, soprattutto, troppo attaccate alla pratica dell’intermediazione politica. Più ci si avvicina alla gestione del territorio, più ci si accorge dell’invasività senza idee, senza contestualizzazione di reali bisogni ed urgenze. E’ in questo modo che non solo non si favoriscono nuovi investimenti endogeni, ma - soprattutto - non si attraggono capitali stranieri, che, pure, sono sempre alla ricerca di buone opportunità di business.
    Superata la data del referendum costituzionale sarebbe il caso di entrare in una fase più operativa. Ma, si sa, conclusa una campagna elettorale, ne inizia sempre – purtroppo – un’altra anche molto prima di una non ben identificata scadenza nelle urne.
    Ernesto Pappalardo
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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