Glocal di Ernesto Pappalardo
Il tema resta prepotentemente al centro di ogni percorso di ripartenza delle economie del Sud. Più coesione, più sviluppo Ma la politica tira avanti secondo le sue vecchie regole: merito e professionalità, competitività e buone pratiche produttive restano indietro nella scala delle “preferenze”.
Il tema della coesione territoriale resta prepotentemente al centro di ogni percorso di ripartenza delle economie del Sud. Non si tratta di un luogo comune, ma di una necessità concreta. Non siamo, cioè, di fronte ad una problematica soltanto di natura sociale, ma anche eminentemente economica. Al di là degli studi e delle analisi molto autorevoli che confermano come i territori coesivi di fatto abbiano superato i picchi più negativi della crisi in maniera meno penalizzante; va aggiunto che il clima socio/economico che in queste aree del Paese si è determinato ha consentito di irrobustire dinamiche assolutamente positive per la valorizzazione dei cosiddetti asset strategici di ogni singola provincia (prim’ancora che regione). I numeri di Unioncamere (vedi altro servizio in questa newsletter di salernoeconomy.it online da venerdì 14 ottobre 2016) relativi ai contratti di rete, evidenziano il divario esistente tra Nord e Sud, anche se non mancano eccezioni (tra cui il Salernitano che in termini relativi non si discosta molto dal trend nazionale). L’indicatore dei contratti di rete è un riferimento non secondario per comprendere meglio le difficoltà che si riscontrano nel Mezzogiorno dal punto di vista dei processi di aggregazione e di salto dimensionale delle imprese (uno dei principali talloni di Achille del sistema economico e produttivo meridionale). La Campania – giusto per citare un numero sostanziale – si colloca tra le ultime tre regioni nella graduatoria Unioncamere riferita all’incidenza delle imprese in rete rispetto al contesto complessivo dei singoli territori. Nella nostra regione le imprese che aderiscono ai contratti di rete sono 847 (1,47 per mille imprese registrate a fronte di una media/Italia pari a 2,54). La provincia che più si avvicina a questo trend è quella di Salerno (2,43). Se si considerano gli scenari regionali, la Campania precede soltanto il Molise (1,14) e la Sicilia (0,74). Numeri ben lontani dalle prime della classe: Friuli Venezia Giulia (6,41); Abruzzo (5,49) e Toscana (3,72). Solo Abruzzo e Basilicata tra le regioni meridionali evidenziano il valore calcolato ogni mille imprese registrate superiore alla media nazionale.
Se inseriamo questi dati nel contesto più generale che riguarda il Mezzogiorno, ci rendiamo conto che il versante sul quale lavorare è preliminarmente, appunto, quello della diffusione capillare della cultura della coesione socio/economica in quanto valore assoluto in grado di generare processi positivi da tutti i punti di vista, a cominciare dal superamento delle conflittualità non locali, ma localistiche e strumentali. Le divisioni “campanilistiche” generate – per esempio – dalla frantumazione della rappresentanza politica con i ben noti “cacicchi” che configurano emblematicamente la deriva che è stata messa in moto con l’elezione diretta dei sindaci. Deriva aggravata dall’indebolimento delle Province che, in qualità di Enti di governo in area vasta, avrebbero potuto ben aggregare gli interessi dei diversi comprensori territoriali all’interno di una stessa regione. Il caos amministrativo tuttora in atto – nell’ambito del riassetto provocato dalla loro presunta “abolizione” – non è altro che la dimostrazione che verticalizzare i processi decisionali, in realtà, significa creare pericolosi vuoti di rappresentanza all’interno dei quali si creano ulteriori deficit di efficienza gestionale (nel migliore dei casi) o, purtroppo, deleteri “inserimenti” di interessi impropri.
E’ evidente, quindi, che la diffusione delle reti d’impresa è l’indicatore di un processo che va analizzato molto oltre l’ambito economico e produttivo. Tale indicatore è una delle “spie” più significative rispetto al modo di procedere (o meno) nella direzione di una ritrovata “armonia” tra i vari attori dello sviluppo (locale). Se intorno alle imprese si crea il terreno “fertile” per attivare investimenti, per realizzare partnership pubblico/private, perché rinunciare a vantaggiose forme aggregative? Al contrario, se il sentiment permane negativo, per quale motivo mettere in discussione la “sacra” autonomia imprenditoriale? Il punto è che senza una svolta seria e profonda sulla strada della piena collaborazione - senza più il peso dell’intermediazione politico/clientelare - tra imprese e filiera istituzionale non sarà possibile agganciarsi ad un’eventuale strutturale ripartenza. Né la grande opportunità degli sgravi fiscali assumerà un senso concreto al Sud senza la rassicurazione dei capitali privati: chi investirà al Sud in un clima di incertezza istituzionale?
Il dramma è che la politica tira avanti secondo le sue vecchie regole: merito e professionalità, competitività e buone pratiche produttive restano indietro nella scala delle preferenze. E il tempo inesorabile scava solchi ancora più profondi tra regioni che reggono la sfida della competizione internazionale ed altre che restano nella migliore delle ipotesi a galleggiare nello zero virgola delle statistiche ad uso e consumo del circo mediatico.
Ernesto Pappalardo
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
| |