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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Il fenomeno dell’auto/imprenditorialità si intreccia con la caccia alle opportunità in Paesi più meritocratici come l’Inghilterra e la Germania. La triste storia dei ragazzi con la valigia  Mentre la politica litiga sui numeri di una presunta ripresa, aumentano i giovani che scelgono di andare all’estero alla ricerca prima di tutto di “pari condizioni” per tentare di fare il lavoro per il quale hanno studiato e si sono preparati. 

    Nella quotidiana e sterile polemica sui numeri e sulle percentuali con lo zero/virgola, lascia attoniti la siderale distanza tra il cielo etereo della politica che è ormai tutta concentrata sul risultato del referendum costituzionale, e le “banali” problematiche che la stragrande maggioranza dei cittadini “normali” continuano ad affrontare rigorosamente da soli nell’affannosa ricerca di soluzioni dignitose per se stessi e per le proprie famiglie. Il “nodo” centrale da sciogliere resta al Sud (e nel resto d’Italia, sia chiaro) la collocazione dei propri figli all’interno del mercato del lavoro. Si tratta della sfida più importante non solo dal punto di vista affettivo (che, naturalmente, è sempre predominante), ma anche per l’entità delle risorse che vengono, ormai, richieste alle famiglie. E’ una sfida che oggi inizia ben prima della conclusione del percorso di studi prescelto. Fino a qualche anno fa si attendeva il momento della sospirata laurea per attivare tutti i canali possibili ed immaginabili (in via prioritaria di tipo relazionale e, ovviamente, clientelare, è bene dirselo senza infingimenti) al fine di ottenere un buon “posizionamento” dei propri ragazzi. Ma, nel giro di poco tempo, le cose sono cambiate ed anche di molto. Acquisito il concetto che la laurea è solo uno dei “fattori” che consentono di aspirare ad un posto di lavoro mediamente appetibile – in termini di geografia sociale e di reddito acquisibile – molte famiglie hanno dovuto sobbarcarsi la pianificazione di alcune certificazioni per così dire obbligatorie per competere adeguatamente su un “mercato” sempre più complicato. Quali certificazioni? Quelle – che hanno un costo, naturalmente – relative alla conoscenza della lingua inglese e alla padronanza degli strumenti informatici. E fin qui siamo al “pacchetto” base. Poi ci sono le “esperienze” all’estero (altri costi non indifferenti) di studio e di lavoro; i master; l’immancabile stage etc etc. Insomma, chi ha più risorse finanziarie, ha anche più possibilità di entrare nel mondo del lavoro ad un certo livello. Senza dimenticare – va detto con lo sdegno necessario – che a fare la differenza di partenza è l’Ateneo nel quale è stata conseguita la laurea. Non solo dal punto di vista della qualità accademica e didattica, ma anche (se non soprattutto) in termini di relazioni che esso può mettere a disposizione con le realtà imprenditoriali ed istituzionali con le quali è in contatto non occasionale.
    Questo quadro d’insieme porta a ritenere che già da diversi anni siamo in presenza per le famiglie mediamente “solvibili” di una montagna di difficoltà che raramente possono essere superate senza l’aiuto dell’intermediazione clientelare della politica o dei vari potentati ben presenti ed invasivi nei territori del Sud, del Centro e del Nord. Insomma, non basta affatto il merito (da solo) - che pure, alla fine, può trovare un suo riconoscimento (sebbene al ribasso, senza la “presentazione” giusta) - ma è indispensabile avere alle spalle una famiglia con discrete risorse finanziarie e, soprattutto, con un capitale di conoscenze e di relazioni di non secondaria importanza.
    Viene da chiedersi: ma è davvero così difficile comprendere, quindi, come ai nostri ragazzi - laureati, masterizzati, in possesso di un inglese fluente e di ampie capacità di gestione di computer e dispositivi informatici – non resta che metterci la faccia e tentare la strada dell’auto/impresa? E’ davvero difficile capire perché coltivino il sogno di vivere e lavorare all’estero? In Inghilterra ed in Germania ci sono ormai colonie molto estese di giovani salernitani che ogni giorno si mettono alla prova con la giusta aspettativa di provare a competere a parità di condizioni. Un presupposto che da queste parti non esiste più da tempo.
    E va anche gridato con forza che questa è la partita di chi ha avuto la fortuna di nascere all’interno di una famiglia con entrate regolari e con qualche certezza acquisita dal punto di vista patrimoniale. In altri termini: l’operazione di entrare nel mondo del lavoro dalla porta principale è quasi impossibile per quanti – e non sono pochi – il dramma del non/lavoro lo vivono già in casa con genitori disoccupati o precari a tempo indeterminato (come oggi – con le nuove regole – accade molto più spesso di quanto si pensi).
    Di fronte a questo dramma generazionale ci ritroviamo, invece, una classe politica e non solo politica che si accapiglia per un solo traguardo: rimanere ben saldi nelle proprie posizioni (beate rendite di posizione), assistendo imperterrita alla fuga di una generazione dal Sud e dall’Italia intera. E a noi padri non resta che tentare di dare una mano a questi ragazzi a non rimanere, ma ad andare via per sperare di cogliere un giorno sui loro volti il sorriso soddisfatto di chi ce l’ha fatta. A dispetto dei “santi” protettori degli altri, pochi “eletti” (troppo pochi)  rispetto a tutti quelli che studiando ed impegnandosi con ogni forza non sono riusciti a fare il lavoro che hanno sognato nella loro terra.
    Ernesto Pappalardo
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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