Glocal di Ernesto Pappalardo
C’è qualche collegamento tra la domanda di lavoro (soprattutto giovanile) e la crescita del circuito della ristorazione?
Neoimprese e tasso di “sopravvivenza”
Formazione e sostegno al credito sono i due asset strategici intorno ai quali fare ruotare accordi di partenariato pubblico/privato finalizzati a realizzare percorsi concreti e qualificati di avviamento delle attività under 35.
C’è qualche collegamento tra la domanda di lavoro soprattutto giovanile e la crescita del circuito della ristorazione? Significa qualcosa che “mentre i negozi tradizionali continuano a diminuire - evidenzia uno studio della Confesercenti (vedi altro servizio in questa newsletter di venerdì 30.09.2016) - la crescita di bar e ristoranti non accenna a fermarsi” e che siamo di fronte ad “una performance in decisa controtendenza rispetto a quella registrata dalle imprese del commercio in sede fissa, diminuite nello stesso periodo del 3,5%”? E’ possibile, cioè, legare il fiorire di questo tipo di attività alla ricerca di una porta di accesso non secondaria al mondo produttivo di migliaia e migliaia di giovani che con coraggio scelgono di mettersi in campo con tutti i rischi del caso? I dati specifici della Campania sembrano confermare la tesi che una correlazione, in qualche modo, sia rintracciabile. La Campania è la seconda regione d’Italia per questa tipologia di dinamica (auto) imprenditoriale. Tra il 2012 ed il 2016 bar e ristoranti sono aumentati in valori assoluti di 3.608 esercizi ed in termini percentuali del 12 per cento. Ben al di sopra della media-Italia (+8,3%) e della media Sud e Isole (+10,8%).
Se confrontiamo questi numeri con quelli delle imprese “under 35”, ci rendiamo conto che tra gli “esperimenti” maggiormente gettonati per provare a diventare imprenditori di se stessi rientrano proprio bar e ristoranti. Si tratta, cioè, di quei settori che si possono considerare “tradizionali” dal punto di vista delle imprese giovanili (dati Unioncamere su scala nazionale): commercio (al quale appartengono il 28,7% delle aziende under 35 iscritte ai registri camerali); costruzioni (14,3%) ed, appunto, le attività di alloggio e ristorazione (10,2%).
La “consistenza” del fenomeno delle imprese under 35 al Sud ed in Campania è chiaramente sostenuta da numeri importanti. La provincia di Salerno si conferma, per esempio, nella top ten dei territori con i più alti tassi di incidenza sul totale delle imprese iscritte ai registri camerali. Nello specifico, si colloca al 10° posto della graduatoria di Unioncamere (al 30 giugno 2016) con 15.390 imprese che determinano un tasso di incidenza sul totale degli iscritti pari al 12,9 per cento (media Italia: 9,6%).
In Campania davanti alla provincia di Salerno si posizionano le province di Caserta – al quarto posto in Italia – con il tasso di incidenza al 14,2% e 12.981 imprese – e di Napoli (tasso di incidenza: 13.3%, 37.930 imprese). Più giù nella graduatoria la province di Avellino (18° posto) – tasso di incidenza 11,7%, 5.141 imprese – e Benevento, 24° posto, (11% e 3.813 imprese). A livello regionale in Campania nel secondo trimestre di quest’anno si sono registrate 4.047 iscrizioni di imprese under 35 e 1.407 cessazioni, con un saldo positivo pari a 2.640 imprese.
A che cosa vanno incontro i giovani imprenditori? Per rimanere a bar e ristoranti - ma è un ragionamento estendibile a tutte le altre aziende di questo tipo - va subito detto che il primo problema da fronteggiare è come agevolarne la sopravvivenza. E’ la stessa Confesercenti ad invitare alla cautela di fronte a questo “boom” sottolineando che “le buone performance di bar e ristoranti non devono far credere che le difficoltà siano finite. All’aumento del numero di imprese, infatti, è corrisposto anche un aumento del livello di competizione, e le difficoltà si fanno ancora sentire: quasi un’impresa su due nel settore della ristorazione chiude entro i primi tre anni di vita”.
Sebbene, quindi, emerga un fenomeno molto positivo, che sfata, tra l’altro, tanti luoghi comuni relativi all’atteggiamento delle giovani generazioni (soprattutto meridionali), la verità è che rispetto a questa nuova fase dell’economia manca ancora un “pezzo” di responsabilità istituzionale, che dovrebbe farsi carico di accompagnare e sostenere questa volontà di mettersi in gioco da parte di migliaia di giovani (e meno giovani) che non si rassegnano ad invecchiare senza lavoro. Formazione e sostegno al credito sono i due asset strategici intorno ai quali fare ruotare accordi di partenariato pubblico/privato finalizzati a realizzare percorsi concreti e qualificati di avviamento all’(auto)imprenditorialità. E’ in questo modo che potrebbe aumentare il tasso di sopravvivenza di tante speranze e di tante neo/imprese che una volta consumato il capitale di partenza - offerto quasi sempre da genitori e nonni – chiudono mestamente il proprio ciclo di vita.
Ernesto Pappalardo
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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