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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Analisi, previsioni, statistiche confermano, purtroppo, che l’inizio di un nuovo ciclo positivo sembra essersi fermato.Il  solito “passo” del gambero La grancassa agitata (precocemente) per festeggiare i timidi segnali di ripartenza al Sud non ha contribuito a delineare un quadro che ispira fiducia. E, allora, lo scenario non sembra alimentare grandi aspettative. Continua l’attesa che blocca investimenti privati (veri), mentre il pubblico non accelera come promette.
     

    Siamo soltanto alle prime settimane di settembre eppure il sentiment collettivo sembra già essere cambiato rispetto a poco tempo fa. Scherzi delle analisi eccessivamente “predittive” oppure chiara consapevolezza che la fretta eccessiva della politica nel dichiarare chiusa la grande crisi può produrre solo danni. In altre parole, va bene che prima o poi ci sarà il referendum (e Renzi non può assolutamente perderlo); va bene che la legge elettorale, ormai, è di nuovo in discussione con il ritorno delle coalizioni dalla finestra sempre più probabile; va bene che c’è una legge di stabilità da contrattare; va bene tutto. Ma non è proprio più concepibile continuare a colpi di annunci e preannunci mediatici: ci sono nodi ampiamente arrivati al pettine che vanno sciolti, o, almeno, resi meno aggrovigliati di quanto siano diventati (per colpa non soltanto della politica, questo va sottolineato per evitare i soliti distinguo di convenienza). Quali nodi? Basta dare un’occhiata agli ultimi interventi degli stessi esponenti del Governo per rendersi conto della grande confusione che imperversa quotidianamente soprattutto a scapito di imprese e lavoratori.
    Se da un lato Confindustria chiede – giustamente – interventi selettivi, dall’altro diventa molto difficile individuare i “capitoli” prioritari in materia di “visione” industriale del Paese. Non è questione di “narrazione”: quella c’è eccome. Ma non è affatto facile farsi un’idea semplice e concreta dei saldi disponibili per sostenere, appunto, il racconto propinato di ora in ora ai giornali tra Masterplan, Patti, Contratti, Fondi Ue, Fsc etc etc. Se solo si prova a tirare le somme di quanti miliardi sarebbero a disposizione dello sviluppo del Mezzogiorno, ci si infila in un labirinto di cifre e tabelle che disorienta. Tra finanziamenti recuperati e rimessi a nuovo, nuovi stanziamenti, cofinanziamenti, riduzione dei cofinanziamenti: una babele pazzesca. Con il paradosso che sa di beffa per i meridionali: investimenti pubblici da queste parti se ne vedono ancora pochissimi (di solito sulla carta). E solo l’accelerazione dei fondi Ue del vecchio ciclo – per non restituire più soldi di quanto già non si faccia per abitudine – ha consentito di respirare meglio. Con evidenti vantaggi per l’economia di alcune regioni del Sud.
    La verità è che nella marea di iniziative - impossibile non ripetere: più illustrate che messe a camminare - anche molto valide, non si distingue un’idea forte, da condividere e non calare dall’alto. Non può bastare che tecnici ed “esperti” mettano nero su bianco un progetto, presentando magari alcune belle slide, perché, poi, si proceda nell’unica direzione che conta: la sua realizzazione. Manca, cioè, il coinvolgimento delle forze sane delle comunità che devono essere parte attiva nella costruzione di tanti pezzi di futuro diversi da quelli solo intravisti fino ad oggi. Non c’è traccia di una vera, grande e unica volontà collettiva che può essere l’unico collante sociale in grado di avviare non una semplice ripartenza, ma la ricostruzione dell’economia meridionale alla luce di quello che è successo negli anni della più grave recessione dal secondo dopoguerra ad oggi.
    E questo è solo il primo aspetto che emerge con grande evidenza. L’altro è ancora più radicato: la macchina amministrativa al Sud non produce efficienza, non ragiona per obiettivi, non entra in simbiosi con la tempistica di traguardi fondamentali per i privati e per le comunità dei territori. I tempi di “attraversamento” dei procedimenti segnano, ormai, generazioni abituate a non vedere finita un’opera, un palazzo, una piazza, una strada.
    Ma le “consolazioni” non mancano mai alla politica. Basta rispolverare la retorica del turismo, dell’agro-alimentare (che, è appena il caso di accennarlo, nonostante tutto e contro tutti, funzionano e trainano, non senza tante difficoltà), e lasciare da parte – sostanzialmente – il vero problema: se non riparte l’industria, il manifatturiero, dove ci avviamo? Sulla solita strada, con il passo del gambero.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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