Glocal di Ernesto Pappalardo
In archivio (o quasi) il chiacchiericcio estivo, è il momento di accelerare il decollo dei progetti per la ripartenza del Sud. Riusciremo a “svoltare”? Il vero rischio è che tutto si areni ripetendo la catastrofe del precedente ciclo di programmazione dei fondi Ue o che, peggio ancora, si perseveri lungo la strada della frammentazione degli interventi.
Il momento della ripresa dopo la pausa estiva di solito diventa utile per mettere nero su bianco le priorità da affrontare; i percorsi ineludibili nel breve e medio periodo; le tracce di progetti che si ritengono indispensabili. Come sempre durante quest’ultimo periodo non è mancato il solito chiacchiericcio inconcludente; né il racconto mediatico ci ha risparmiato non pochi casi di evidente (quasi disperata) ricerca di visibilità a tutti i costi della politica. Insomma, non si è persa occasione per continuare a propagare informazioni “in positivo” sul reale stato delle cose nelle regioni meridionali. Cavalcando le (micro) percentuali della “ripresa”, diffondendosi nella descrizione della consistente (sulla carta fino a questo momento) dotazione finanziaria disponibile etc etc. Ma è evidente che prima si accantonano i castelli di sabbia, meglio si potrà avviare un realistico e graduale processo di uscita da una situazione che resta in ogni caso complessa e difficile.
Nel numero di questa settimana (online da venerdì 26 agosto) della newsletter di salernoeconomy riprendiamo con ampiezza lo studio di Confindustria-Srm reso noto agli inizi del mese proprio perché – accanto alla dettagliata “mappa” degli indicatori positivi relativi al Mezzogiorno – è molto precisa la descrizione dello scenario complessivo. Insomma, il contesto nel quale si collocano le dinamiche di “ripartenza” è sintetizzato in maniera tale da indurre ad evitare entusiasmi che appaiono semplicemente fuori luogo (e che pure invece, caratterizzano la maggioranza che sostiene il Governo Renzi anche - se non soprattutto - a livello periferico). Il ritardo accumulato negli anni della lunga recessione, il terreno perduto, il deterioramento evidente della qualità della vita - che si riflette nella crescita dei numeri riferiti a persone e famiglie in lotta quotidiana con la povertà (quella vera e non presunta) - restano i parametri con i quali confrontarsi per un ragionamento serio e non effimero o strumentale. Non certo esultando (o spiegandolo sempre in maniera funzionale ad una rendicontazione a somma più) per uno zero virgola. In altre parole, il bicchiere non si può vedere sempre mezzo pieno. Perché sono ancora tantissimi quelli che sono costretti a vederlo mezzo vuoto.
Il punto vero adesso è, però, un altro. Ed anche in questo caso le valutazioni espresse nello studio Confindustria-Srm aiutano ad avere piena cognizione dello stato dell’arte. Occorre fare presto. E’ necessario spendere velocemente (e bene, opzione non affatto scontata alla luce di quanto accaduto fino ad oggi) la dotazione che deriva principalmente dai finanziamenti Ue. “Ancora una volta, è decisivo il ruolo - rimarcano Confindustria e Srm - che può essere svolto dai fondi strutturali. Sfruttando con intelligenza e pienamente tali risorse e quelle nazionali per la coesione si possono concretamente declinare politiche più intense ma uguali a quelle necessarie al resto del Paese, capaci di irrobustire gli investimenti pubblici e privati e di ridurre divari storici e più recenti”. Come spendere questi soldi? “Selezionando con accortezza, grazie ai patti attuativi del Masterplan, le infrastrutture prioritarie, gli interventi di rigenerazione urbana, quelli per lo sviluppo industriale, quelli per far incontrare i giovani e le imprese. E rendendo ancor più incisivi gli strumenti per la competitività del tessuto produttivo, come il credito d’imposta per gli investimenti, e per l’occupazione, come gli sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato”.
Tutto pienamente condivisibile. Ma occorre fare i conti con alcune variabili “strutturali” legate all’efficienza della macchina burocratica/amministrativa sia a livello centrale che nelle varie regioni meridionali. Il vero rischio è che tutto si areni ripetendo la catastrofe del precedente ciclo di programmazione dei fondi Ue o che, peggio ancora, si perseveri lungo la strada della frammentazione degli interventi - nella logica della distribuzione delle risorse in base all’appartenenza politica - piuttosto che tenere fede a criteri coerenti con un disegno realmente ampio ed in sintonia con una visione di sistema dei problemi da affrontare.
Tra qualche mese – a fine anno – si potrà già avere un quadro più concreto della situazione. Almeno per una volta, sarebbe veramente piacevole essere sorpresi positivamente e constatare che la direzione di marcia finalmente è stata rispettata e, soprattutto, che è quella giusta.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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