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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • I risultati dello studio del gruppo di lavoro presso il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria.La dieta mediterranea? Fa  bene anche alla terra Seguire i principi di questo tipo di regime alimentare non solo stimola positivi riflessi sulla salute, ma consente di consumare meno acqua a beneficio dell’equilibrio ambientale del pianeta.

    Gli scienziati del Crea (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria) - Ente italiano di ricerca sull’agroalimentare – confermano un aspetto molto importante del regime dietetico valutato sempre più positivamente negli ultimi decenni: “chi mangia veramente  mediterraneo - è scritto in una nota ufficiale - oltre ad avere una dieta salutare,  consuma meno acqua, a beneficio del nostro pianeta”. Sono queste le conclusioni dello studio “Low versus high adherence to the Mediterranean diet in the Italian food consumption: a case study on water footprint implication”, realizzato dal gruppo di ricerca che, presso il  Crea si occupa delle indagini sui consumi alimentari nazionali sia dal punto di vista nutrizionale, che in termini di esposizione al rischio e di ricadute sotto il profilo dell’impatto ambientale.
    Gli autori - Lorenza Mistura, Francisco Javier Comendador, Aida Turrini e Marika Ferrari – “hanno associato gli alimenti effettivamente consumati per tre giorni dal campione prescelto alla relativa impronta idrica (cioè al volume totale di acqua dolce impiegata per produrli), mettendoli, però, in relazione al grado di aderenza alla Dieta Mediterranea”.
    Attraverso l’Indagine Nazionale sui Consumi Alimentari in Italia (INRAN SCAI 2005-2006), “sono stati selezionati  i dati relativi alla dieta realmente seguita per tre giorni da 2317 adulti italiani. Poi, è stata misurata la mediterraneità ed è risultato che il 68% del campione  segue, chi più chi meno, la Dieta Mediterranea (DM), mentre non vi aderisce  il 32%. A tal fine, è stata utilizzata la tabella di Sofi che, sulla base di una meta-analisi della letteratura internazionale, ricava le categorie alimentari da assimilare al modello alimentare mediterraneo, nonché i punteggi di aderenza (adherence scores) da assegnare in funzione della relativa frequenza di consumo”. Stabilite a monte “le quantità (grammi) che per ogni gruppo rappresentano una porzione, sono assegnati punteggi di aderenza tra 0 e 2 in virtù, appunto,  della frequenza di consumo, con un punteggio finale che va da 0 a 18 (2 punti x 9 categorie)”.
    I ricercatori Crea “hanno calcolato che per un regime alimentare con la più bassa aderenza alla DM (<=7), pari a 1867 grammi cibo consumato/die/pro capite ed equivalente a 2100 kcal/die/pro capite, si ha un utilizzo di acqua (water footprint) pari a 4327 litri/die/pro capite (244 adulti risultanti con la più bassa aderenza cioè il 10,5% della popolazione); mentre, laddove si registra la più alta aderenza alla DM (>=15) pari a 2438 grammi cibo consumato/die/pro capite, equivalente a 2263 kcal/die/pro capite, si osserva una water footprint pari a 3243 litri/die/pro capite (114 adulti risultanti con la più alta aderenza cioè il 4,9% della popolazione)”.
    Le conclusioni dello studio.
    “Ne consegue, dal regime a più bassa aderenza ad un regime a più alta aderenza, un risparmio d’acqua del 25 %, pari a 1104 litri di acqua/die/pro capite. Una evidenza che dimostra, ancora una volta, come la Dieta Mediterranea rappresenti un modello alimentare  sano non solo per l’uomo, ma anche per l’ambiente, in termini di impronta idrica”.
    Il riconoscimento.
    Lo studio, presentato alla recente “1st World Conference on the Mediterranean Diet di Milano”, “ha ottenuto un importante riconoscimento: è stato classificato dall’International Scientific Committee dell’evento, come uno dei tre migliori abstracts tra quelli sottoposti ed è stato inserito nella sessione Winning abstracts-Best Communications”.
    (Fonte: Comunicato Stampa Crea/ 29.07. 2016)


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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