Glocal di Ernesto Pappalardo
Appare sempre più evidente – alla luce delle più recenti analisi delle dinamiche economiche – che siamo solo all’inizio (si spera) di una lunga e difficile rincorsa.Si riapre la partita per il Sud?
La Svimez: “Serve una politica industriale che non punti solamente a sostenere le eccellenze, ma finalizzata a consolidare la struttura dell'intero sistema”.
Bicchiere mezzo pieno? O ancora mezzo vuoto? Gufi, falchi, colombe? A rileggere con attenzione l’intervento del direttore Riccardo Padovani nel corso della conferenza stampa di anticipazione del “Rapporto Svimez 2016” (Roma, 26 luglio scorso), emergono alcune indicazioni molto chiare e precise. La prima. “La fase più intensa della crisi italiana è stata fortemente connotata dalla sua natura industriale, specialmente nel Mezzogiorno che, nella recessione, ha perso oltre un terzo del valore aggiunto manifatturiero. Finalmente, nel 2015 si è verificata una prima, importante, inversione di tendenza, con una dinamica maggiore rispetto a quella del Centro-Nord”. In altre parole: “L’apparato produttivo meridionale sopravvissuto alla crisi, insomma, sembra essere in condizioni di rimanere agganciato allo sviluppo del resto del Paese e manifesta una capacità di resilienza. Dalle valutazioni effettuate sulla base delle informazioni disponibili, la ripresa di una dinamica positiva del valore aggiunto risulta essere diffusa a quasi tutte le principali branche produttive, anche se eterogenea in quanto a intensità”. Il Mezzogiorno, cioè, sebbene gravemente ferito, è ancora in piedi e al suo interno opera con un successo un nucleo di apparati produttivi in grado di reggere la sfida della competitività. “Diversi studi (da Cerved-Confindustria alla Fondazione La Malfa) - si legge nell’intervento di Padovani - hanno fatto emergere, negli ultimi tempi, che anche al Sud si rileva la presenza di un gruppo di imprese dinamiche, innovative, con un grado elevato di apertura internazionale e inserite nelle catene globali del valore (Cgv)”. E ancora: “I segnali di ripartenza sono presenti e non vanno sottovalutati. Ma serve una politica industriale che non punti solamente a sostenere le eccellenze, finalizzata a consolidare la struttura dell'intero sistema”.
Domanda: con quali strumenti è possibile mettere in campo una risposta nei termini auspicati? Il riferimento centrale resta per la Svimez l’introduzione delle Zone Economiche Speciali (Zes), mediante le quali rilanciare l’attrattività degli investimenti. Ma - precisa la Svimez – “al di là delle iniziative delle singole Regioni, sarebbe opportuno predisporre una legge nazionale che ne consenta una implementazione in tempi brevi. Le esperienze di successo sono note, a partire da quella polacca”.
E, poi, occorre intervenire in maniera più strutturata sul versante del credito perché “tra i fattori che negli anni della crisi hanno determinato la vulnerabilità delle imprese meridionali, si rilevano le stringenti condizioni di accesso al credito (sia come disponibilità, sia come costo), anche a causa della diversità della clientela tra le due aree del Paese, in termini di dimensione, settore e rischio”. Qualche numero per comprendere la dimensione del fenomeno: attualmente l’ammontare di crediti in sofferenza si avvicina in Italia a 190 miliardi di euro, di cui 42,4 al Mezzogiorno e 144,5 al Centro-Nord. “Le azioni da intraprendere - propone la Svimez - dovrebbero andare oltre le misure già in campo, tenuto conto del problema, non trascurabile, relativo al ruolo – da preservare – che le banche locali rivestono nel Mezzogiorno”. E, naturalmente, sarebbe opportuno evitare “redistribuzioni” finanziarie che non tengono conto della provenienza dei “tesoretti” costruiti faticosamente e operosamente negli anni proprio al Sud. Non a caso, quindi, la Svimez propone “che la Società di Gestione delle Attività (Sga) - che a suo tempo rilevò le partite in sofferenza del Banco di Napoli e ora prevista tra i partecipanti al Fondo Atlante 2, - impegni le proprie risorse in modo da farle tornare ai territori da cui provengono”. Come non condividere totalmente quest’impostazione dopo tanti altri “episodi” di fondi destinati al Mezzogiorno e, poi, “spalmati” in provvedimenti di cui hanno beneficiato in massima parte altre aree del Paese?
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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