Glocal di Ernesto Pappalardo
I più recenti indicatori evidenziano dinamiche con il segno positivo, ma non bisogna dimenticare il precipizio nel quale siamo caduti negli anni della crisi.E' l'ora degli investimenti
Gli “embrioni” di ripresa nelle aree del Mezzogiorno finalmente si moltiplicano. E’ il momento di erogare effettivamente nuova spesa ed incentivare in questo modo partenariati attivi pubblico/privato.
Da Unioncamere a Svimez, passando per altri importanti centri di ricerca pubblici e privati, arriva un messaggio molto chiaro: il Mezzogiorno è uscito – finalmente – dalla fase recessiva. Tra mille distinguo; tra mille differenze territoriali; tra mille strumentalità politiche: in ogni caso, pare di capire, il tunnel è alle spalle. O, almeno, siamo arrivati nel tratto finale, quello che precede di pochissimo l’uscita vera e propria. Va chiarito, comunque, che il nuovo scenario è ancora molto difficile da decifrare; che il “panorama” del tessuto imprenditoriale è molto diverso rispetto a sette/otto anni fa. Che è più facile fare la conta dei “sopravvissuti” che redigere l’elenco di quelli che sono svaniti nel grande burrone che ha inghiottito centinaia di aziende sane dal punto di vista della capacità industriale, ma in grave difficoltà sul versante della gestione finanziaria negli anni del credit crunch particolarmente feroce soprattutto nei confronti dei più piccoli. Una tenaglia che, peraltro, in alcuni comparti si fa sentire ancora con grande intensità. In altre parole, non è il caso di usare toni trionfalistici e di riprendere il megafono della retorica che attinge all’eterno racconto del “come siamo stati bravi” e del “come siamo ancora belli”. Al contrario, proprio quando le cose sembrano mettersi meglio rispetto ai mesi scorsi, sarebbe utile fare tesoro della lezione pagata a caro prezzo e porre mano ad una seria programmazione dei percorsi di sviluppo possibile. Sembra che il problema sostanziale non sia più la carenza di risorse. E’ bene usare la formula dubitativa, perché anche in presenza di annunci di robusti finanziamenti formalmente disponibili, all’atto pratico sui territori non è ancora arrivata l’onda forte dei fondi strutturali a più riprese citati, elencati e “tabellati”. In ogni caso, il problema vero appare principalmente un altro. Manca ancora la piena consapevolezza che è indispensabile - veramente indispensabile - agire bene ed in fretta. La fragilità della cosiddetta ripresa si abbina con un quadro sociale complessivamente difficile. Anche in questo caso – come nella nuova “geografia” delle imprese – emerge ormai strutturalmente una polarizzazione che sta di fatto cancellando le fasce intermedie. Da un lato le famiglie che in un modo o nell’altro riescono a garantirsi un tenore vita in linea con quello che avevano prima della crisi (se non addirittura migliore); dall’altro quei nuclei di persone che sono precipitati nella scala reddituale e non appaiono capaci di riprendersi. E’ in questa “distanza” che viene a mancare - soprattutto in Campania e nelle regioni meridionali - l’impulso sostanziale per generare nuova coesione sociale. Per dare risposte alla carenza di capitale sociale/relazionale. E’ il solito e vecchio discorso delle “reti” virtuose, dei vasi “in-comunicanti” che riflettono sui territori varie tipologie di solitudine: sociale, imprenditoriale ed anche istituzionale. Insomma, mentre in altre regioni si spinge tutti insieme in una sola direzione – puntando senza tentennamenti all’obiettivo comune individuato – nel Mezzogiorno si viaggia ancora in ordine sparso. Pesa come un macigno l’invasività della politica che sceglie e destina risorse sulla base di criteri quasi sempre lontani dal merito, dalla competenza e dalla competitività. L’intermediazione soffoca la leva della premialità da riservare a chi ha un progetto valido, a chi si mette in gioco, a chi sceglie di andare sul mercato senza tutele, rinunciando a rendite di posizione. Sono, forse, queste le principali ragioni alla base della mancata ripartenza gli investimenti privati, mentre quelli pubblici risentono dell’abissale ritardo tra la fase delle progettualità preliminari e le realizzazioni esecutive. E senza investimenti – mirati, rapidi, efficaci rispetto alle criticità da superare – non si alimenta l’economia. Il cane continua sempre a mordersi la coda e dopo i pre-annunci e gli annunci restano le parole al vento che minano alle fondamenta il rapporto fiduciario tra cittadini, imprenditori ed Istituzioni. Al momento, per la verità, segnali di inversione di rotta non mancano. Ma quello che di sicuro manca è uno scossone forte attraverso il quale mettere in circolo nuova e vera liquidità. Il tempo per farlo, però, è già scaduto da un pezzo.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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