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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • I cambiamenti in atto evidenziano le criticità strutturali delle dinamiche aggregative nelle regioni meridionali.La vera sfida? Economia di territorio
     
    Il Rapporto Symbola/Unioncamere conferma e rafforza il parametro del “valore aggiunto” derivante dal capitale relazionale e dalla capacità di creare reti virtuose tra tutti i soggetti che si identificano nelle comunità “glocali”.

    In tempi di metamorfosi organica e strutturale dei processi di creazione di reddito e occupazione, il capitale relazionale - analizzato e descritto nelle sue varie articolazioni nel rapporto annuale di Symbola/Unioncamere “Coesione è Competizione. Le nuove geografie della produzione del valore in Italia” - diventa riferimento sostanziale per comprendere come la scarsa capacità aggregativa (da vari punti di vista, non solo quelli più tipicamente riconducibili alle dinamica d’impresa) manifesta i suoi maggiori effetti negativi proprio in tempi di crisi (ed anche,  occorre aggiungere, in tempi di post/crisi). E’ netta la differenza – seguendo il racconto dei dati contenuti nello studio – non solo tra aziende coesive e non coesive, ma anche tra territori coesivi e non coesivi. Insomma, la linea di demarcazione è molto chiara: da una parte i comprensori e le aree geografiche dove si è stati capaci di costruire reti di relazioni resistenti/resilienti che consentono il pieno coinvolgimento di tutti i soggetti sociali - in maniera inclusiva - nei percorsi di crescita (e nella gestione delle crisi); dall’altra quelle zone del Paese dove  per tante e varie storiche motivazioni non si è determinato un sistema di contatti e di interlocuzioni (ovviamente non solo di tipo strettamente economico) in grado di assicurare una migliore circolarità distributiva di ricchezza, oltre che l’espansione di fenomeni di crescita condivisa. Non si tratta di un ragionamento “sociologico”, ma anche di prendere atto di valutazioni che si riflettono sulle differenze relative agli indicatori “classici” per misurare lo stato di benessere di una città, una provincia, una regione: Pil pro capite, occupazione, export, attenzione alla salvaguardia dell’ambiente eccetera eccetera. In altre parole: tenore e qualità della vita. Insomma, leggendo il rapporto Symbola/Unioncamere ci si rende conto una volta di più che le due Italie esistono eccome, ma anche che non è solo una questione di soldi, progetti, investimenti (che, pure, hanno la loro grande rilevanza, non c’è dubbio). Ma la verità è che è mancata e continua a mancare una visione elaborata ed accettata dal basso, una visione che non può non poggiare le fondamenta sulla necessità di non lasciare nessun “pezzo” di società per strada: una visione solidale e, nello stesso tempo, propulsiva, agganciata agli asset trainanti dei sistemi produttivi territoriali. Senza cessioni di sovranità all’intermediazione nefasta della politica. Ma non si cambiano processi di così di lunga durata con documenti di politica economica o industriale. E’ necessario lavorare alla costruzione di approcci culturali più orientati al recupero di relazionalità positive e non difensive: è in questo senso che lo Stato (in tutta la sua estesa filiera) dovrebbe “efficientarsi”, caratterizzarsi, cioè, come interlocutore fiduciario e non come spesso accade (non solo al Sud) materializzarsi raramente e quasi sempre nelle vesti – addirittura - di controparte di imprese e cittadini.
    I numeri, si diceva sopra, parlano sempre molto chiaro. Solo qualche passaggio/chiave del rapporto Symbola/Unioncamere. “Le imprese se sono coesive - se cioè intrattengono relazioni con le altre imprese, le comunità, le istituzioni, i consumatori, il terzo settore- registrano bilanci più in salute: dichiarano infatti fatturati in aumento nel 47% dei casi, contro il 38% delle non coesive. Assumono di più: il 10% delle coesive ha programmato assunzioni nel 2015, tra le altre è il 6%. Esportano di più: hanno ordinativi esteri in aumento  nel 50% dei casi, a fronte del 39% delle non coesive. Sono, a ben vedere,  le stesse imprese che hanno nel Dna una considerazione diversa e maggiore  di valori come l’ambiente (investono infatti in prodotti e tecnologie green  il 53% delle imprese coesive contro il 38% delle non coesive), la creazione  di occupazione e di benessere economico e sociale, gli investimenti in qualità”.
    E con le imprese coesive crescono i territori coesivi. “Non solo le imprese ma anche i territori possono essere coesivi, cioè caratterizzati dalla presenza di legami e relazioni solide e profonde tra le loro diverse componenti: comunità, imprese, istituzioni, soggetti più deboli”. Le regioni più coesive (con una maggiore attenzione al lavoro e alla legalità, maggiore presenza del non profit, maggiore livello di relazionalità delle imprese) sono, in ordine, le seguenti: Trentino Alto Adige, Lombardia, Veneto, Toscana, Friuli Venezia Giulia. “Di questo bisogna ricordarsi - sottolineano gli autori del Rapporto - anche quando si propongono soluzioni economiche per il Sud Italia, perché chi cerca rimedi economici a problemi economici  - scriveva Luigi Einaudi - è su falsa strada; la quale non può che condurre  se non al precipizio. Il problema economico è l’aspetto e la conseguenza  di un più ampio problema spirituale e morale”.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE
     


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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