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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Il “parente povero”

    I paradossi che si materializzano in provincia di Salerno sono sempre tanti, anche se accomunati da un filo conduttore ben evidente: il persistente autolesionismo. Neanche un conclamato stato di necessità sollecita i vari “protagonisti” a darsi una regolata e ad intraprendere la via della “virtù”. Questo assioma è applicabile, purtroppo, ai più svariati campi dell’agire salernitano: in primis a quel poco che resta della politica, ma se ne registrano non poche applicazioni anche in campo economico e produttivo. Prendiamo la tanto controversa questione delle strategie di sviluppo. Tra una polemichetta ed un’altra ancora sui modelli di crescita – per esempio – si ha la sensazione che si continui a considerare il comparto agroindustriale una specie di “parente povero” verso il quale assumere l’atteggiamento magari accondiscendente e compiacente di chi, però, in estrema sintesi, non gli destina, alla fine, né un centesimo (e questo, per la verità, accade anche per altri comparti, sebbene in misura sensibilmente inferiore); né un minimo di attenzione progettuale. In altre parole – a parte autorevoli e riconosciute eccezioni – nella “filiera” della politica l’agricoltura non “tira”, non è ritenuta volano di sviluppo, non è individuata come unica prospettiva reale di rilancio dell’economia non solo salernitana e campana, ma di tutto il Mezzogiorno. Il presidente provinciale di Confagricoltura, Rosario Rago, nell’intervista apparsa ieri nella pagina “Imprese&Mercati” de “la Città”, con semplicità e raro senso pragmatico ha messo il dito nella piaga. Si è posto – ed ha posto – alcune domande, peraltro da tempo immemore vaganti sui tavoli della Regione Campania. La prima: ma nessuno ha mai pensato di lavorare ad un progetto serio di integrazione tra agroindustria e turismo? La seconda: ma ci rendiamo conto che le eccellenze salernitane – Es: mozzarella di bufala, ortofrutta, insalate lavorate in quarta gamma, fragole in serra etc etc – pagano il conto di una logistica e di un sistema infrastrutturale che privilegia ancora la gomma e poco il ferro e l’aria? La terza: perché parlare sempre dell’aeroporto di Pontecagnano solo in termini di movimentazione di passeggeri e non anche di merci e, nella fattispecie, delle sopra richiamate eccellenze? E’ abbastanza ovvio che il problema di scegliere operativamente un modello di sviluppo realistico per la piattaforma territoriale salernitana impone una serie di considerazioni preliminari. La logica dei numeri ci dice che – rispetto ad altre aree della Campania e dell’intero Paese – l’agricoltura conferisce al Pil provinciale una percentuale superiore. Ma non basta. La logica non dei numeri, ma delle evidenze vocazionali ci spiega che l’integrazione tra agricoltura e turismo potrebbe favorire la crescita esponenziale di occasioni occupazionali e – soprattutto – l’accensione di meccanismi virtuosi in grado di stimolare la nascita di veri e propri cluster produttivi: segmenti di “reti” di imprese capaci di “coprire” un’offerta molto ampia: accoglienza ed ospitalità; valorizzazione, promozione e commercializzazione delle produzioni tipiche locali; recupero ambientale e paesaggistico attraverso la cura e la messa a dimora di ulteriori porzioni di territorio oggi abbandonato a se stesso; ristrutturazione e “riumanizzazione” di piccoli ed antichi borghi, etc. etc. Manca a questo quadro, già di per sé, estremamente rilevante una chiave interpretativa fondamentale che riguarda l’approccio “culturale” alle problematiche dell’agricoltura. Parlare ancora oggi di settore primario è molto riduttivo. Già da molti anni tantissime aziende agricole – non solo quelle che, poi, fanno la differenza in termini qualitativi – sono, in realtà, calate nella logica della produzione industriale. E’ all’agroindustria che bisogna guardare per il rilancio della crescita locale: l’industria dell’agricoltura – integrata con il turismo e con una logistica infrastrutturalmente forte – è uno dei riferimenti ineludibili, anche per i suoi evidenti legami con la filiera più ampia del manifatturiero agroalimentare, per ogni ipotesi di vera “rinascita” del territorio salernitano. Altro che “parente povero”. Banale, ovvio, ma, come sempre, qui da noi per niente scontato. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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