Glocal di Ernesto Pappalardo
Le analisi delle criticità “attrattive” delle aree meridionali contenute in due recenti studi della Svimez.
Infrastrutture e logistica, il tallone d’Achille del Sud
Indispensabile potenziare trasporto ferroviario e su gomma; intermodalità e piattaforme integrate per migliorare l’accessibilità dall’esterno e, nello stesso tempo, favorire la mobilità interna nelle aree del Mezzogiorno.
Infrastrutture, logistica, trasporti sono asset indubbiamente sostanziali per immaginare qualsiasi politica di sviluppo concreta e non soltanto mediaticamente declamata del Mezzogiorno. Non mancano, del resto, innumerevoli richiami, appelli, inviti alla filiera istituzionale – dal Governo centrale in giù – affinché si tenga conto delle effettive condizioni in questi ambiti di riferimento in cui versa la maggior parte dei territori meridionali.
La Svimez ha più volte segnalato la questione e più recentemente attraverso lo studio di Dario Musolino - “L’attrattività percepita di regioni e province del Mezzogiorno per gli investimenti produttivi” pubblicato sulla Rivista Economica del Mezzogiorno (Rem), il trimestrale diretto da Riccardo Padovani ed edito da Il Mulino - dove si legge che “ (…) politiche di investimento in infrastrutture di trasporto, politiche industriali e campagne specifiche di comunicazione sull’area sono gli strumenti necessari ad aggredire la scarsa attrattività del Sud”. E che, in particolare, sono indispensabili interventi “nel trasporto ferroviario, nella portualità, nell’intermodalità e nelle piattaforme logistiche” per potenziare l’accessibilità dall’esterno e, nello stesso tempo, favorire la mobilità interna integrando in maniera sistemica le reti di trasporto meridionali. Se si scende nello specifico delle motivazioni che rendono poco attrattivo il Sud, la Svimez ci dice che per uno su quattro degli imprenditori intervistati “ il problema maggiore viene dalla carenza di infrastrutture di trasporto e logistica, quindi dalla scarsa accessibilità del territorio meridionale (26,4%), seguito dalla povertà del tessuto produttivo (presenza di clienti,fornitori, altre imprese: 21,3%)”.
Insomma, il quadro è evidentemente chiaro: alla lontananza fisica dai mercati del Centro e del Nord Europa - verso i quali si concentra la parte preponderante delle produzioni italiane e meridionali - si aggiungono ritardi di non poco conto dal punto di vista delle reti viarie, ferroviarie e aeree (discorso a parte merita, in ogni caso, la portualità),
Ma la crisi di competitività delle regioni meridionali è ben fotografata anche in un altro studio - “Divari di competitività tra regioni durante la sovereign debt crisis: il Mezzogiorno tra resistenza e resa” di M. Aria, G. Lucio Gaeta e U.Marani, sempre pubblicato su Rem, il trimestrale della Svimez - che segnala “il rischio di ulteriore arretramento delle economie del Mezzogiorno negli anni a venire”. In questo caso, gli indicatori si declinano attraverso un’ipotetica scala da 1 a 100. Il Sud - rispetto alla media Ue - registra gap molto forti. Ed in particolare nelle infrastrutture “si è fermato nel 2013 a 41,6 (in calo di 4 punti percentuali rispetto al 2010) a fronte del 48 della media Ue e del 50 del Nord Italia”. Non va certo meglio “nel campo della preparazione tecnologica (37,3 nel 2013, in calo di 5 punti rispetto ai 42,3 del 2010, ben lontani dai 50,5 della media Ue ), dell’ efficienza del mercato del lavoro (37,7 al Sud contro una media Ue di 50,4 e di 52,9 al Nord Italia nel 2013) e nella qualità delle istituzioni : qui il Sud si ferma nel 2013 a 36,6 , in calo rispetto al 2010 (40,3) e distante dalla media Ue di 51,4” .
In questo contesto appaiono evidentemente “stonate” le declamazioni che si sono susseguite negli ultimi giorni in riferimento alla ripartenza o – addirittura – all’avvio di una ripresa stabile e ben strutturata nel Sud del Paese. Solo se non ci si allontana troppo da analisi approfondite ed orientate a diffondere una conoscenza non superficiale delle dinamiche economiche e produttive delle regioni meridionali, diventa meno problematico attrezzare risposte in grado di dare risposte positive nel medio e lungo periodo.
Tra le principali criticità con le quali confrontarsi rientra sicuramente quella relativa ai collegamenti sia all’interno del Mezzogiorno che tra il Mezzogiorno con il resto del Paese, con l’Europa e con le altre aree del mondo verso le quali la domanda di business è crescente. La realizzazione non solo delle infrastrutture necessarie si accompagna all’esigenza inderogabile di mettere in rete strade, ferrovie, aeroporti e porti, creando – è il caso di sottolineare – un importante vantaggio localizzativo per tutte le imprese (già presenti o attente ad individuare zone dove può diventare conveniente investire) operanti al Sud.
Non si tratta di interventi semplici, né di sfide che si possono vincere in poco tempo. Ma è proprio su questo terreno che occorrerà dare risposte convincenti per tutti quei capitali che pure cercano posti dove vale la pena di fermarsi.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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