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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Il  “racconto” dei territori meridionali sembra stimolare un processo di omologazione in senso negativo rispetto alle differenze che pure sono, invece, riscontrabili.Una questione di “comunicazione” Fa riflettere lo studio della Svimez che sollecita – tra i vari interventi per ridurre il divario con il Centro/Nord – anche una vera e propria strategia di promozione per contrastare il gap tra percezione e realtà concreta delle condizioni socio/economiche nelle varie aree del Sud.

    Tra i tanti “mali” di cui soffre il Sud, la Svimez ne certifica un altro (vedi approfondimento su questo stesso numero della newsletter di www.salernoeconomy.it- 1° luglio 2016) che francamente aggrava ancora la situazione nella quale si ritrovano le regioni meridionali. In estrema sintesi: la realtà percepita è peggiore della realtà vera e propria. Non c’è alcuna consapevolezza dell’esistenza di tanti Sud, ma tutto sembra raccolto, invece, in un solo “fascio” a base di scarsa conoscenza dei diversi territori che si espandono nel Mezzogiorno esprimendo diversità e – meno raramente di quanto si possa in genere pensare – anche esempi virtuosi. Insomma, siamo in presenza di un tipico caso di “narrazione” incentrata molte volte sui pregiudizi, sulla pigrizia esplorativa, sull’indolenza culturale e manageriale. Sulla convinzione, insomma, che tanto non conviene e basta scendere ed investire al Sud. Al punto che la Svimez – tra le altre ed indispensabili “ricette” (infrastrutture, logistica integrata, lotta alla criminalità etc etc) consiglia di mettere mano a “strategie di comunicazione e promozione, a livello centrale e locale, che consentano di scardinare la cappa mediatica che oggi tende a mettere tutto il Sud sotto un unico cappello”.
    Il discorso ritorna, quindi, sulla necessità di riattivare nelle forme più adeguate (e possibili) percorsi di sviluppo dal basso che contemplino – tra le varie ed urgenti azioni – anche l’elaborazione di un approccio mediatico non occasionale o, peggio ancora, strumentale e di corto respiro, attento alla descrizione degli scenari economici, produttivi, culturali e sociali per quello che essi realmente si configurano. L’oggettività dei processi di info/comunicazione è indispensabile per generare un legame fiduciario con il circuito mediatico in modo da indurlo a “raccontare” le cose per quello che sono, senza indugiare nei luoghi comuni e senza inseguire a tutti i costi le “cattive” notizie. Perché il Sud può “fare notizia” anche attraverso “buone notizie”. E’ un problema di strategia, ma anche di professionalizzazione di questo particolare segmento delle Pubbliche Amministrazioni e del settore privato. Partendo da un punto fermo: non si può continuare a fare confusione tra “marketing” politico ed istituzionale – o anche imprenditoriale, per essere precisi – e corretta info/comunicazione. E’ questo uno dei mali peggiori diffusi  - per la verità - non solo nelle aree del Sud.
    Ma è interessante sottolineare anche quanto emerge da un’analisi del Censis (riportata sempre in questo numero del 1° luglio della newsletter di www.salernoeconomy.it) che prende in considerazione un fenomeno che al Sud si rivela particolarmente devastante: il ridimensionamento dei livelli intermedi di rappresentanza. “La disintermediazione praticata dal centro - spiega il Censis -  tende a by-passare i territori. L'unica eccezione sarebbero le nuove città metropolitane, anche se finora si tratta di un soggetto ancora piuttosto evanescente”. E’ molto chiaro che il verticalismo decisionale non trova contrappesi soprattutto nelle aree deboli del Paese che si trovano, quindi, a subire dall’alto provvedimenti spesso derivanti da vere e proprie campagne politiche finalizzate ad acquisire consenso senza tenere conto della diversità – appunto – dei singoli territori, accomunati (per restare al Sud) da “etichette” generiche, appiccicate addosso sulla base di una visione più mediatica che analitica.
    E, allora, è del tutto evidente che la competizione tra piattaforme economiche e produttive esige – tra le varie leve sulle quali fare forza per attrarre e stimolare investimenti – anche un’attenta diffusione di dati, notizie, informazioni in grado di profilare la realtà delle singole comunità. Occorre prendere atto, in conclusione, che alla fine non basta per un territorio esprimere livelli qualitativi di eccellenza, ma occorre anche farli percepire bene. Soprattutto in quella parte di Paese che non intende discostarsi troppo dalle “narrazioni” dominanti e, purtroppo, radicate da centinaia di anni.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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