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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • L’analisi delle dinamiche delle iscrizioni ai registri del sistema camerale conferma la propensione degli under 35 a mettersi in proprio.L’auto/impresa è digitale, ma troppo sola Risulta ancora carente una vera e propria programmazione della costruzione di “legami” non effimeri e momentanei con il contesto territoriale all’interno del quale le singole micro/aziende si collocano.

    Non c’è dubbio che il problema principale nel Mezzogiorno – e, quindi, in Campania ed in provincia di Salerno – si configuri nell’inserimento dei giovani (under 35 in particolare) nel circuito occupazionale. L’emergenza più avvertita resta questa in un contesto alle prese con dinamiche economiche e produttive complesse anche in una fase che appare connotata da “germogli” di ripartenza (“ripresa” è ancora una parola troppo forte per definire quello che sta accadendo). E fin qui siamo alla “fotografia” statistica, al racconto dei numeri che acuisce – al Sud – l’evidenza del blocco dell’ascensore sociale. Anzi, è diventata più evidente la polarizzazione delle parabole inerenti le carriere lavorative e professionali: quanti hanno alle spalle famiglie benestanti riescono a raggiungere con una certa tranquillità i traguardi più o meno programmati, con la differenza non da poco che aumenta il numero di tutti gli altri non in grado di confermare gli standard di reddito (e di qualità della vita) dei genitori. E che in molti casi addirittura regrediscono.
    Ma – a leggere bene e ad incrociare studi ed analisi – si constata con facilità, andando oltre i luoghi comuni (ad uso e consumo di una retorica anti/meridionale sempre molto attiva) che la svolta culturale nei confronti dell’idea di lavoro c’è stata eccome. A dispetto di un’Università che si “riduce” (proprio così: diventa più piccola da vari punti di vista) i giovani del Sud confermano – anche in provincia di Salerno (è questo l’aspetto che www.salernoeconomy.it analizza sempre da vicino) alcune propensioni molto precise: la ricerca della sfida dell’auto/imprenditorialità come via d’uscita dal precariato ad oltranza; un’accentuata sensibilità nel ricorso alle nuove tecnologie (start up ed e commerce, vedi altro articolo di approfondimento all’interno della newsletter di questa settimana ven. 17 giugno 2016); una grande attenzione alla sostenibilità dei processi produttivi ed al rispetto dell’ambiente (aziende green).
    Insomma, non solo per necessità, ma anche per visione strategica, una “fetta” consistente di giovani meridionali è stata capace di maturare un approccio in linea con il nuovo paradigma della glocalizzazione che privilegia la competitività/produttività di piattaforme territoriali in qualche modo collegate ed inserite nelle macro/reti infrastrutturali (anche immateriali) e produttive nazionali ed internazionali.
    Alla luce di questo quadro difficile e, nello stesso tempo, non privo di positività, che cosa manca? Che cosa non appare drammaticamente all’orizzonte? La verità è che i tanti fermenti importanti legati alle migliori qualità delle giovani generazioni meridionali non vengono accompagnati pienamente dalla filiera istituzionale che non riesce a creare una “rete” di protezione mediante la quale sostenere e supportare – non solo finanziariamente – le tante micro imprese o gli stessi auto/imprenditori nella fase iniziale (che è la più delicata) della loro esperienza. Tanto è vero che il ciclo di vita di queste attività si conclude mediamente in trentasei mesi.
    Certamente non mancano molti strumenti dedicati a questo tipo di imprese – sia di livello nazionale che regionale – ma risulta ancora carente una vera e propria programmazione della “costruzione” di legami non effimeri e momentanei con i segmenti produttivi trainanti all’interno dei quali le singole micro/aziende si collocano. In altre parole, si ha la sensazione che queste tante ed anche virtuose “isolette” non siano aiutate a dialogare tra di loro e con le aziende più strutturate che potrebbero aiutarle a crescere. E’ questo il compito che dovrebbe assumersi il pubblico in partnership con il privato, sintonizzandosi con i vari scenari territoriali e valorizzando ulteriormente gli asset trainanti soprattutto dal punto di vista della sperimentazione e dell’applicazione delle innovazioni di processo e di prodotto. Per non parlare delle innumerevoli opportunità di miglioramento nell’ambito della digitalizzazione dei servizi per l’utenza turistica o dei servizi alle imprese più in generale. Molto probabilmente è anche in questa direzione che dovrebbe/potrebbe essere rilanciato il dialogo ed il confronto tra le Pubbliche Amministrazioni, i corpi intermedi e l’Università. Ma questo è un discorso che – al momento – continua ad apparire abbastanza complicato.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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