contatore accessi free Salerno Economy - Blog di informazione economica

ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Lo scenario di breve e medio periodo sembra confermare un cambio sostanziale di sequenze del ciclo economico.Sviluppo o “populismo” elettorale? L’unica strada percorribile sembra legata al processo di riappropriazione da parte delle singole comunità del proprio destino economico e produttivo. Senza divisioni strumentali e concessioni demagogiche ai vari attori in campo.

    Lo scenario di breve e medio periodo sembra confermare un cambio sostanziale di sequenze del ciclo economico. La grande crisi – spiegano autorevoli studiosi – ha strutturalmente modificato i percorsi di crescita dei territori; ha ridisegnato i termini di approccio ai mercati delle imprese; ha imposto nuovi assetti organizzativi nelle aziende. Insomma, non solo è difficile fare previsioni, ma è anche molto complicato orientarsi nelle nuove dinamiche delle produttività; nei nuovi ambiti delle relazioni industriali; nei nuovi (indispensabili) rapporti tra i vari soggetti delle filiere. E’ del tutto evidente che a fare la differenza sono e saranno sempre di più le imprese che hanno una visione non difensiva rispetto ai prossimi mesi e ai prossimi anni. Imprese che “vedono” prima degli altri che cosa fare per aumentare i propri livelli di competitività, impadronendosi dei meccanismi di mercato più funzionali ai loro obiettivi. Nei lunghi anni della recessione anche al Sud le aziende che oggi sono ancora in piedi, hanno dato risposte pratiche alle sollecitazioni che arrivavano dalla riduzione della domanda interna e dalla restrizione del credito. Hanno tirato la cinghia, hanno fatto sacrifici, hanno investito molto spesso in deficit spending. Hanno scovato nuove nicchie di mercato e rimodellato la struttura organizzativa. Ora, però, non possono fare ancora altri interventi dentro i propri “confini”. Ora attendono risposte efficaci rispetto alle numerose diseconomie che fanno la differenza con le altre aree del Paese. Ora attendono che si palesi una vera e propria politica industriale sulla base delle esigenze delle singole aree regionali ed anche sub/regionali. Ma attendono anche – soprattutto – che la macchina burocratica dei servizi pubblici, che dovrebbe porsi in maniera collaborativa con le imprese (e non nei termini di una contro/parte a tutti gli effetti), alzi il livello qualitativo delle proprie prestazioni.
    E’ certamente vero che le imprese devono ancora fare molto dal punto di vista di un maggiore spessore patrimoniale - che comporta relazioni meno complesse ed improduttive con il circuito del credito - e di una più sostanziale propensione alla crescita dimensionale. Ma non si può mettere in discussione che sono gli assetti infrastrutturali e la qualità delle reti dei servizi essenziali (elettricità, acqua, banda larga eccetera, per fare gli esempi più banali) che di fatto determinano le reali potenzialità di sviluppo dei sistemi produttivi locali.
    Se non si lavora in profondità al rafforzamento della capacità attrattiva dei territori - senza insistere ancora sulle vocazioni produttive, ma riferendosi (al di la dei settori) più semplicemente alle aziende che funzionano e che hanno voglia di crescere - diventa molto difficile gettare le basi per tentare di governare processi e cicli economici nuovi, molto più imprevedibili rispetto agli anni pre/crisi.
    Il tasto dolente è più o meno sempre lo stesso. Da un lato la politica e le istituzioni non riescono a superare la logica del consenso di breve periodo (che corrisponde quasi sempre con le scadenze elettorali di vario genere). Dall’altro le imprese restano imprigionate – al Sud – in percorsi eccessivamente frammentati, escludendo (quasi sempre) la strategia della qualità diffusa attraverso le intere filiere produttive. Né gli stessi territori riescono a mettere a sistema i punti di forza, lasciandosi travolgere da anacronistici neo/municipalismi che, in realtà, non producono impatti quantitativamente e qualitativamente rilevanti rispetto alle dimensioni dei problemi da affrontare. Né la retorica dei fondi strutturali della nuova programmazione sembra destinata a cambiare il “destino” del Mezzogiorno. La vera questione non è soltanto legata alla capacità di spesa dei finanziamenti, ma principalmente a un’idea di sviluppo chiara e realmente condivisa dal basso (e non imposta dalla recente ondata di verticalismo decisionale spesso intrisa di una stratificata ignoranza delle storie dei luoghi dove si abbattono improbabili “riforme” efficientiste).
    Come uscirne? L’unica strada percorribile sembra legata al processo di riappropriazione da parte delle singole comunità del proprio destino economico e produttivo. Solo riprendendo in mano l’idea del futuro che si intende costruire, i territori del Sud – senza divisioni strumentali e concessioni demagogiche ai vari attori in campo – possono coltivare la speranza di ricollocarsi  in maniera positiva nello scenario della nuova economia che sta emergendo dalla crisi. Tutto il resto è “racconto” mediatico o campagna elettorale (permanente).
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


Torna indietro Stampa

La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

  • thumbnail-small-1.jpg

    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


  • Il Convertitore Valuta è offerto da Investing.com Italia.