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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • La disgregazione dei partiti ha prodotto la disaggregazione dell’area moderata che si ritrova anche a livello locale senza una rappresentanza ben identificata.C’era una volta il “Centro” Cattolici sempre più “tirati” per la giacca da tutti gli schieramenti in campo determinati ad accaparrarsi un voto particolarmente rilevante in termini quantitativi e qualitativi a Salerno e nell’intera provincia.

    Il discorso, per la verità, è abbastanza vecchio. Ma continua a stimolare l’attenzione dei partiti o di quello che ne resta. Il voto dell’area moderata - che si è confermato determinante, per esempio, nel caso delle elezioni regionali - è da sempre l’oggetto del desiderio di quello che nel corso degli anni è diventato l’ex Pci/Pds/Ds ed oggi Pd. Come, pure, l’origine di Forza Italia e dei suoi vari aggregati è legata a doppio filo con l’intento – per anni ben riuscito – di stabilizzare il voto centrista intorno alla leadership di Berlusconi. La mutazione genetica in atto nel Pd di Renzi ha, poi, introdotto una variante estremamente rilevante, confinando quella che oggi si definisce “sinistra Dem” all’opposizione di un partito chiaramente orientato verso l’elettorato post/democristiano, senza alcuna ritrosia (anzi) a captare anche quello di Fi e delle formazioni che provano a mantenersi nella scia dell’antico scudocrociato.
    Se questa può essere - in estrema sintesi - la descrizione dell’attuale geografia delle sigle (più che dei partiti) alla disperata ricerca del consenso di questa vasta e complessa fascia di elettori, è importante osservare che manca quasi completamente all’appello l’impianto culturale e programmatico in grado di sollecitare e stimolare il mondo cattolico di base. Se la declamazione dei valori cattolici è diventata una “prassi” molto simile alle tecniche di marketing elettorale – ed è questo un aspetto francamente esecrabile – va aggiunto che è venuto conseguentemente meno qualsivoglia tentativo di mantenere in attività quelle che potremmo definire cinghie di trasmissione tra il ricco e variegato universo di associazioni autenticamente cattoliche - quelle che continuano silenziosamente a dare vita al riparo delle parrocchie a tante iniziative concrete di solidarietà e di aiuto a nuovi e “vecchi” emarginati - ormai molto diffidenti verso quei “politici” che periodicamente tentano di accreditarsi come  loro “riferimento”.
    Nel caso di Salerno - ed in larghissima parte del territorio provinciale – la desertificazione del “paesaggio” politico a tutto vantaggio delle leadership personali incarnate dai tanti sindaci “cacicchi”, ha di fatto “costretto” la maggior parte delle personalità che potrebbero ben esprimere i valori del cattolicesimo e della dottrina sociale della Chiesa, a vivere una solitudine civica che, in realtà, ha impoverito la rappresentanza politica ed istituzionale dei nostri territori. Le sfide a colpi di pacchetti di voti e di capillare “fidelizzazione”  degli apparati partitici ha emarginato tutti quelli che non dispongono – e non intendono disporre – di strutture in grado di trasformarsi in “macchine” del consenso.
    Resta il silenzio “assordante” che si avverte in modo particolare in relazione a tematiche sostanziali che riguardano la sfera più strettamente legata alla tutela dei diritti della persona umana. Ma è ancora più evidente che la ricerca della moderazione in politica - intesa come individuazione del luogo della “mitezza” delle relazioni tra le maggioranze e le opposizioni; come valorizzazione delle condivisioni piuttosto che delle divisioni; come promozione ad oltranza della logica dell’inclusione rispetto a quella dell’esclusione - ha lasciato il posto alla radicalizzazione dei conflitti che si è tradotta nella pratica del muro contro muro e delle approvazioni per alzata di mano nei Consiglio Comunali senza neanche più la motivazione del voto.
    La scomparsa del “Centro”, quindi, è una perdita prima di tutto culturale e, poi, anche politica. Ed è davvero arduo immaginare come si possa uscire da una situazione che appare cristallizzata ed immobile. Né aiutano le dinamiche che stanno prendendo forma in vista delle prossime elezioni comunali a Salerno. La corsa alle candidature, al momento, denota più che altro una diffusa presenza di protagonismo poltronistico, con buona pace delle scale valoriali (di qualsiasi orientamento politico).
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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