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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • I dati di Unioncamere invitano a riflettere sulle condizioni di contesto che generano le dinamiche di crescita delle aziende “under 35”.Tra “vocazioni” e ricerca del lavoro La spinta all’imprenditorialità? Non è soltanto una questione di benemerito spirito di iniziativa – che in ogni caso andrebbe incoraggiato e supportato meglio – ma (soprattutto) di urgenza di uscire dal limbo della non occupazione, anche a costo di addossarsi rischi eccessivi.

    Ormai non fa più notizia, ma la notizia – senza dubbio – c’è. L’area salernitana (vedi anche “Lo speciale” contenuto in questa newsletter di www.salernoeconomy,it) si colloca al decimo posto nella graduatoria delle province (stilata da Unioncamere) per tasso di incidenza delle imprese giovanili (guidate cioè da under 35) sul totale di quelle iscritte alla Camera di Commercio. Se si approfondiscono i dati, ci si accorge che la Campania è una vera e propria “fabbrica” di imprenditori in erba: la provincia di Caserta è al quarto posto in questa speciale “classifica”; quella di Napoli all’ottavo. Giusto per rendersi conto della situazione, il primato è appannaggio della provincia di Crotone. Per trovare una provincia del Centro/Italia bisogna arrivare alla 16ma posizione con Frosinone. Mentre per imbattersi in una provincia del Nord occorre arrivare al 32° posto dove si piazza Novara.
    E’ evidente che non si tratta, quindi, soltanto di “vocazioni” imprenditoriali, ma c’è anche molto altro. C’entrano probabilmente le condizioni di contesto, a cominciare dalla situazione del mercato del lavoro giovanile e dalle relazioni tra circuiti formativi e sistemi produttivi. Insomma, non è soltanto una questione di spirito di iniziativa – che in ogni caso andrebbe incoraggiato e supportato meglio – ma (soprattutto) di urgenza di uscire dal limbo del non lavoro, anche a costo di addossarsi rischi eccessivi. Perché non è affatto facile – una volta varata la neo/azienda o, più semplicemente, aperta la partita Iva – sopravvivere e, quindi, superare i primi anni di attività.
    “Lettura” troppo “minimalista”? Troppo pessimista? Un’altra conferma di questa “diagnosi” arriva dall’analisi dei settori più “attrattivi” per i neo/imprenditori che nel 2015 hanno scelto soprattutto il commercio, le costruzioni, la ristorazione e l’agricoltura (spiega sempre Unioncamere). E va aggiunto che “a caratterizzarsi come attività più giovanili sono però le attività ausiliarie dei servizi finanziari (dove il 49,2% delle nuove iniziative è dovuto agli under 35) e gli altri servizi per la persona (46,3%)”. In altre parole, nella maggior parte dei casi si punta su comparti con barriere all’ingresso abbastanza basse e, soprattutto, su attività che non comportano investimenti impegnativi (almeno all’inizio). Perché uno dei problemi sostanziali è la scarsa disponibilità di fondi propri che si intreccia con le difficoltà di accedere a finanziamenti adeguati per realizzare progettualità industriali vere e proprie o, comunque, integrate nel segmento del manifatturiero.
    E, poi, non va sottovalutata la circostanza che siamo in presenza di diffusi fenomeni di esternalizzazione di competenze altamente qualificate attraverso il meccanismo della consulenza e, quindi, della partita Iva che, in realtà, viene orientata verso un solo committente deciso a risparmiare sul costo del lavoro. Un insieme, quindi, di “cause” scatenanti che nella “difficoltà perenne” dell’economia meridionale trovano l’humus più fertile con buona pace anche del Jobs Act e della decontribuzione. Per non parlare delle anomalie nell’utilizzo dei voucher.
    E, allora, siamo proprio sicuri che questo tipo di primati siano sempre una buona notizia per i territori del Sud? L’entità del fenomeno induce a fare valutazioni approfondite. Naturalmente, la prima riflessione riguarda l’atteggiamento dei giovani meridionali: nessuno potrà più affermare che aspettano ancora il posto fisso o che continuano a cercare una “sistemazione” valida e tranquilla. Siamo in presenza di un cambio di mentalità che accoglie in sé soltanto valenze positive. La seconda è un po’ più amara: perché questa tendenza così significativa non viene ancora messa a sistema? Perché nessuna filiera pubblica – o pubblico/privata (come sarebbe auspicabile) – si attiva in maniera strutturale e prova ad accompagnare verso il successo imprenditoriale (o professionale) un numero così rilevante di giovani del Mezzogiorno?
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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