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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Diventa sempre più evidente la necessità di elaborare modelli innovativi per aumentare la capacità di attrazione degli investimenti nelle regioni del Mezzogiorno.Un’Agenzia per lo sviluppo locale I dati analitici più recenti (Confcommercio/Cer) confermano l’esigenza di mettere in campo provvedimenti di “riequilibrio” del rapporto tra spesa pubblica e pressione fiscale. Ma, soprattutto, occorre individuare un unico organismo di coordinamento delle varie attività indispensabili per un efficace marketing del territorio.

    Il tema, per la verità, è, ormai, già consumato. Ma resta, in ogni caso, fondamentale per provare a ragionare in maniera concreta intorno ad un problema ancora largamente irrisolto. Che cosa fare per attrarre investimenti in aree scarsamente dotate di “appeal” nei confronti di capitali in cerca di remunerative occasioni di investimento?  In presenza di una serie di svantaggi di non poco conto - mediocre se non bassa qualità delle attività erogate dalle filiere delle Pubbliche Amministrazioni; pressoché totale (o quasi) inesistenza di sistemi di logistica integrata; pericolosi tassi di “invasività” della criminalità organizzata (e non) nell’economia; gravi inefficienze delle reti di servizi alle imprese; più elevato costo del denaro eccetera eccetera - appare chiaro che la leva fiscale potrebbe “recitare” un ruolo di primo piano. Si dirà: la premialità incentivante - anche sotto il profilo dell’alleggerimento del peso delle tasse locali – è molto difficile da applicare in presenza di bilanci alquanto disastrati di Comuni e Province. Anzi, sarebbe una vera e propria mission impossibile. Eppure, senza creare quelle che è giusto chiamare “convenienze”, per quale ragione un’impresa di sani principi etici dovrebbe scegliere una regione del Sud per localizzare le proprie attività?
    E’ del tutto evidente che la premialità fiscale di tipo compensativo debba essere abbinata ad una politica di “marketing” - inerente le aree industriali - adeguata e coerente con politiche industriali di livello regionale. Non, quindi, soltanto incentivi “fiscali” a valere sulle già esangui casse degli Enti Locali, ma un sostanziale processo di trasformazione delle modalità di gestione dei suoli destinati a insediamenti produttivi nella logica di offrire servizi di qualità ed altamente competitivi in termini di “asset” complessivi da mettere sul piatto della bilancia. A cominciare dalle potenzialità legate al contesto territoriale del quale potrebbero giovarsi le aziende ( di nuova costituzione o già ampiamente operative) disponibili a mettere radici nel Mezzogiorno. Di quali “asset” stiamo parlando? Di uno in particolar modo, originale e non replicabile: lo scenario ambientale e paesaggistico in grado di trasformarsi in “location” fortemente attrattiva anche per imprese con un profilo internazionale.
    Ricapitolando: mixando fiscalità nazionale e locale di tipo compensativo con la realizzazione di siti dedicati all’allocazione di insediamenti produttivi - ben collegati alle reti infrastrutturali regionali e nazionali -  in possesso di servizi altamente qualificati, si può certamente giungere alla realizzazione di un “catalogo” dell’offerta di aree industriali da collocare sul “mercato” dei capitali in cerca di destinazioni “appetibili”.
    Risulta indispensabile, però, porre mano all’individuazione di un unico organismo di coordinamento delle varie attività sopra descritte che per comodità di linguaggio si può denominare “Agenzia per lo Sviluppo Locale” all’interno della quale fare confluire varie competenze e, soprattutto, la piena gestione delle aree industriali attraverso efficaci accordi di partenariato pubblico/privato. La “ristrutturazione” – o ricostituzione – dei consorzi che si occupano di questi fondamentali spazi diventa il passaggio strategico per rimettere in moto i disegni di sviluppo locale dal basso: per ridare slancio alle dinamiche di attrazione di investimenti è prioritario definire un disegno di sviluppo in sintonia con l’offerta che i territori possono proporre sul mercato in base alla dotazione di varie componenti: a cominciare dal capitale umano qualificato e alle relazioni virtuose che è possibile realizzare con le filiere produttive più competitive già insistenti nelle province della Campania.
    Non si tratta di interventi particolarmente complessi, altrove si è andati già molto avanti su questa strada. Ma il primo passo tocca alle Istituzioni locali ed alla Regione in primo luogo.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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