Glocal di Ernesto Pappalardo
Lo scenario politico locale continua a segnalare la pressoché totale assenza di un quadro chiaro di proposte per rilanciare l’economia.Corsa al voto, senza idee e programmi Per molti mesi pare destinato ad imperversare il solito gossip politico di provincia accompagnato da schermaglie più che altro interne ai partiti e sfide all’ultima candidatura.
L’avvicinarsi delle elezioni del sindaco e del consiglio comunale di Salerno continua a caratterizzarsi – fino a questo momento – per la pressoché totale assenza di spunti di riflessione sotto il profilo del rilancio dell’economia cittadina. Non è un problema solo delle forze politiche in campo (ammesso che sia ancora possibile individuare profili precisi e ben definiti di identità partitiche), ma più generale. Mentre è in qualche modo comprensibile che all’interno degli schieramenti (o di quello che ne rimane) sia in atto una lotta senza esclusioni di colpi – più o meno visibili per l’opinione pubblica – per la “conquista” dello status di candidato (a sindaco, ma anche di “semplice” consigliere); lascia abbastanza perplessi la desertificazione culturale (prim’ancora che politica) che costituisce lo scenario di fondo nel quale si svolge la “gara” tra i competitor della partita. Si dirà che probabilmente è ancora presto per mettere sul tavolo idee, progetti, programmi (se è possibile evocare ancora questo strumenti così facilmente deteriorabili ed archiviabili un minuto dopo la proclamazione di vincitori e vinti). Le criticità sostanziali sono due: l’assenza di quello che un tempo si definiva “dibattito” tra le forze politiche (e questa non è una novità da più di una decina d’anni a questa parte); l’assoluta assuefazione alla mancanza di una, pur minima, pubblica ed aperta riflessione sul futuro di medio e lungo periodo della città. Se si miscelano entrambi questi elementi, si arriva alla triste constatazione dello svuotamento di contenuti che la crisi dei partiti ed il modello di governo locale generato dall’elezione diretta dei sindaci hanno di fatto realizzato.
Non è un problema – sia ben chiaro – solo di Salerno. D’altro canto non mancano approfondimenti importanti – come quello del Censis del settembre dello scorso anno – che individuano proprio nella deriva del predominio dei sindaci rispetto alle assemblee comunali (a partire dal 1993) una delle cause principali del progressivo ridimensionamento del confronto pubblico - nelle sedi istituzionali deputate - sulle tematiche centrali per la crescita di una comunità. A cominciare, per esempio, dal modello di sviluppo produttivo che resta sostanziale per verificare l’entità delle dinamiche aggregative e relazionali di una città. Il sistema relazionale tra le varie componenti sociali ed economiche - che non a caso è molto fragile nelle aree meridionali - risulta estremamente indebolito negli ultimi anni e certamente non solo a causa della grande recessione. E’ abbastanza condivisibile la tesi che proprio il venir meno della dinamica – anche fortemente dialettica – del confronto aperto e non strumentale tra i partiti ed i corpi intermedi sia tra le cause principali dello “scollamento” tra cittadinanza e filiera istituzionale. Una dinamica che ha generato – giova ricordarlo – un netto “depauperamento” della capacità di rappresentanza reale del “ceto” politico locale a livello regionale, nazionale ed europeo. Non è una casualità, insomma, la scarsa incidenza di questo “ceto” politico rispetto alle scelte - che spesso connotano una tendenza verso il verticalismo decisionale - che vengono prese lontano dai territori e che, invece, ricadono con effetti devastanti sulle singole comunità.
Larga parte della mancanza di modelli di sviluppo chiari e condivisi; di politiche industriali regionali realmente derivanti dall’accoglimento delle legittime istanze delle imprese; di scelte trasversali ai settori produttivi – come già messe in campo nel Centro/Nord del Paese - ma premianti per quelle aziende che investono in innovazione tecnologica e orientate alla competizione internazionale; derivano senza dubbio dal progressivo venir meno dell’interlocuzione delle comunità di cittadini con le comunità composte da coloro che dovrebbero rappresentarle.
Ed è in questo contesto che è iniziata la lunga corsa verso le elezioni comunali del prossimo giugno. Una corsa che per molti mesi ci riserverà soltanto gossip politico di provincia; schermaglie più che altro interne ai partiti; sfide all’ultima candidatura. Per non parlare della demagogia e del populismo a buon mercato che toccherà sorbirci nella sfrenata ricerca di consenso e di rilievo mediatico.
Per i programmi e per la costruzione di un quadro di riferimento non effimero e strumentale per realizzare una vera e propria exit strategy dalla crisi che ancora non è alle spalle, c’è tempo. O, almeno, questa è la convinzione che pare ancora accompagnare i tanti “protagonisti” della scena locale (e non solo locale, naturalmente).
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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