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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • I limiti della politica economica del Governo per il Mezzogiorno confermano il ruolo cruciale delle Regioni nei processi di ripartenza.Scarso “appeal”? Niente investimenti Le indagini sulla qualità istituzionale (Svimez) e sulla capacità attrattiva del sistema-Paese (Aibe Censis) evidenziano la necessità di intervenire sui livelli di efficienza della macchina amministrativa pubblica per migliorare le condizioni di “contesto” nelle aree del Sud.

    Se si mettono insieme i risultati di due indagini recenti sulle cosiddette “condizioni di contesto” (a partire dal “paesaggio” delle Pubbliche Amministrazioni e dai livelli di efficienza che esse sono in grado di esprimere), ci si rende conto una volta di più che quasi tutto quello che appartiene alla sfera del pubblico penalizza in maniera rilevante i sistemi economici e produttivi del Sud. Lo studio della Svimez “Measuring Institutional Quality in Italy” (di Annamaria Nifo e Gaetano Vecchione) ha preso in considerazione le performances di regioni e province italiane negli anni 2004-2012 mediante l’IQI (Institutional Quality Index) basato su “24 parametri riferiti a cinque ambiti: partecipazione (che a sua volta raggruppa fenomeni tra cui associazionismo, acquisti in libreria, partecipazione al voto); efficacia dell’azione di governo (ad esempio: deficit sanitario, raccolta differenziata, dotazione strutture sociali ed economiche); qualità della regolamentazione (mortalità e qualità della vita delle imprese, dipendenti pubblici); certezza del diritto (tra cui tempi dei processi, evasione fiscale, sommerso); corruzione (reati contro la PA, commissariamento dei comuni, ecc). Ne è derivato un indice sintetico compreso tra 0 e 1 che conferma la presenza di un forte gap tra le regioni del Centro-Nord (che hanno valori compresi tra 1 e 0,7/0,6) ai primi posti e le regioni del Sud agli ultimi (con valori compresi tra 0,4 e 0). L’indagine del Censis per l’Aibe (Associazione Italiana delle Banche Estere) ha messo a fuoco, invece, la capacità di attrazione di capitali stranieri attraverso interviste ad un panel composto da manager di imprese multinazionali, investitori istituzionali presenti nel nostro Paese, studi legali che supportano le iniziative di investimento e membri qualificati della stampa estera. Interessante verificare i punti di debolezza ed i punti di forza del sistema/Italia. Le criticità risiedono nei tempi troppo lunghi della giustizia civile, nella farraginosità delle procedure normative e burocratiche, nel carico fiscale”. L’attrattività può, invece, avvalersi principalmente della qualità delle risorse umane e della solidità del sistema bancario.
    Se trasferiamo queste indicazioni all’area del Mezzogiorno, ci rendiamo conto che le carenze della sfera pubblica incidono maggiormente sulla capacità competitiva rispetto alle regioni del Centro/Nord. Per non parlare del carico fiscale aggiuntivo rintracciabile nelle addizionali comunali e regionali. Oltre il danno anche la beffa: bassa qualità dei servizi pubblici, maggiore onere a carico dei contribuenti.
    E’ evidente, che al gap consolidato in termini di strutturazione del tessuto economico e produttivo (dimensionamento, minore orientamento all’export, fragilità finanziaria eccetera eccetera) ed alla carenza di politiche industriali mirate e ritagliate a misura delle vocazioni predominanti nei singoli territori, occorre aggiungere il peso di un “apparato” pubblico assolutamente inadeguato ed incapace di esprime standard prestazionali in linea con quelli delle altre zone del Paese.
    Eppure, solo a parlare dell’urgenza di procedere a politiche “compensative” - e niente affatto di vantaggio – in grado di attrarre capitali al Sud e di stimolare le imprese a procedere nella direzione di un irrobustimento del proprio profilo patrimoniale, finanziario, produttivo e competitivo (particolarmente sui mercati esteri), si assiste al ripetersi di litanie alquanto lontane dall’esatta percezione della realtà.
    Né è il caso di aggiungere che anche la ripresa – per quanto ancora volatile – pare destinata a concretizzarsi a due velocità. Ma anche questa non è per niente una novità.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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