Glocal di Ernesto Pappalardo
Le differenze di “contesto” tra le aree del Centro/Nord e quelle del Mezzogiorno.Gli “svantaggi” competitivi I “differenziali” che emergono in ogni ambito di analisi degli scenari non solo economici e produttivi avvalorano le proposte/Svimez di impiegare i fondi delle politiche di coesione (2014/2020) per realizzare interventi strutturali di lungo periodo nel circuito delle P.A.
La fiducia c’è. Per fortuna c’è ed è non poco utile nel tentativo di rimettere in moto la macchina produttiva anche nelle aree del Mezzogiorno. I segnali di rinnovato ottimismo (a leggere diverse indagini pubblicate molto di recente) contribuiscono a ritenere che, tra mille difficoltà, si sia aperta una nuova fase che ancora non si traduce, però, in diffuse e meno volatili ricadute sul tessuto economico e sociale. Il problema vero che emerge - ammesso che prenda forma una dinamica meno “debole” degli indicatori in campo positivo - si riallaccia al “paesaggio” meridionale (economico ed istituzionale di livello generale) che non è cambiato molto (anzi, per niente) rispetto agli anni precedenti la grande crisi. Insomma – recessione o non recessione – nulla si è fatto per superare i gap rispetto al Centro/Nord che si trascinano da decenni. Con il risultato che ci ritroviamo nell’economia post/crisi (che riserva e riserverà ancora molte sorprese in termini strutturali da diversi punti di vista) con gli stessi “svantaggi” competitivi di anni addietro e con le stesse problematiche legate alle mutazioni “genetiche” nel mondo della produzione introdotte dalla grave recessione da poco conclusa (con la speranza che sia stata archiviata definitivamente).
L’analisi della Svimez (vedi approfondimento nella newsletter di questa settimana) entra nel merito del divario più grave che ha preso forma e si è consolidato nel tempo, un divario nell’ambito di un perimetro che, invece, dovrebbe essere invalicabile, quello dei diritti di cittadinanza. Se si considerano ventiquattro parametri, suddivisi in cinque aree fondamentali - partecipazione, efficacia dell’azione di governo del territorio, qualità della regolamentazione, certezza del diritto, invasività dei processi corruttivi – emerge che le regioni del Centro/Nord si collocano ai primi posti per comportamenti virtuosi e quelle del Sud agli ultimi. Non si tratta qui di entrare nel merito del tenore di vita, del valore aggiunto pro capite o del tasso di occupazione. In questo caso si considerano altri indicatori: associazionismo, partecipazione al voto, deficit sanitario, raccolta differenziata, dotazione strutture sociali ed economiche, mortalità e qualità della vita delle imprese, dipendenti pubblici, tempi dei processi, evasione fiscale, sommerso, reati contro la P.A., commissariamento dei Comuni, ecc.
E’ chiaro che ci muoviamo su un terreno molto più ampio, sul quale si gioca la partita fondamentale delle pari opportunità che lo Stato è chiamato a garantire al Nord, al Centro e al Sud. Ed è in questo senso che gli “svantaggi” competitivi determinano una situazione/condizione che alimenta varie declinazioni della risposta politica. Tutte improntate, però, alla scarsa efficacia dei provvedimenti che la “filiera” istituzionale annuncia di realizzare (nella maggior parte dei casi) e realizza, poi, in percentuale davvero minima rispetto alle aspettative.
La Svimez propone, quindi, interventi differenziati e l’utilizzo dei fondi delle politiche di coesione (2014/2020) per mettere mano alla riforma delle Pubbliche Amministrazioni nelle regioni meridionali perché “l’obiettivo di ridurre i divari e riavviare un processo di sviluppo non può essere perseguito senza avere istituzioni di qualità in tutto il territorio e una Pubblica Amministrazione ispirata a criteri e valori di equità, trasparenza, responsabilità, efficacia ed efficienza”. E ribadisce che “il gap Nord-Sud in questo ambito incide in misura significativa sulle reali potenzialità di sviluppo economico e aggrava le condizioni di disuguaglianza e sofferenza sociale, tra le aree del Paese”. Anche se, in ogni caso, “non va dimenticato che il compito di costruire una buona Pubblica Amministrazione con la garanzia dei diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale non spetta alle politiche aggiuntive, ma alle politiche pubbliche ordinarie e generali”. Insomma, non si può pensare – a Roma – di risolvere tutto con i finanziamenti Ue: prima o poi occorrerà convincersi che è indispensabile investire sul rilancio del Sud e mettere mano a finanziamenti nazionali. Ma questo è un capitolo che nessuno pare voglia seriamente riaprire.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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