Glocal di Ernesto Pappalardo
Il 2016 “promette” miglioramenti da tempo attesi soprattutto nelle regioni meridionali.
L’anno della grande “rincorsa”?
Le previsioni indicano l’inizio della “ripartenza” – tra mille difficoltà – anche al Sud. Ma i divari con il Centro/Nord si allargano ed anche in un settore cruciale come quello delle Università si delineano con sempre maggiore chiarezza due Italie.
E’ sempre abbastanza facile ad ogni inizio di nuovo anno mettere da parte le “amarezze” appena vissute nei dodici mesi precedenti per provare, invece, a guardare con maggiore fiducia al periodo che si apre davanti a noi. Né, per la verità, giova cristallizzarsi in lunghi elenchi di problemi che al Sud si trascinano irrisolti da decenni (e, quindi, da ben prima della grande crisi). Ma il punto vero appare un altro. Al netto dell’entusiasmo di maniera e della ritrovata (?) fiducia di famiglie ed imprese, che cosa è realistico attendersi nel 2016?
E’ abbastanza evidente che la condizione nella quale si ritrovano le regioni del Mezzogiorno non induce a prevedere “rinascite” clamorose nel breve periodo. Tutti gli indicatori rimarcano che occorre fare delle differenze tra le due Italie che i numeri certificano in maniera sempre più lampante. Il dualismo tricolore è una realtà che provoca riflessi ben percepibili sulla pelle dei meridionali. Oltre la qualità (che per molti versi è davvero mediamente inferiore), è il tenore di vita che dimostra come al Sud si viva in un universo molto lontano dai territori del Centro e del Nord. E fin qui parliamo della scoperta dell’acqua calda. Il dubbio persistente (ed inquietante per molti aspetti) riguarda, invece, la capacità di reazione effettiva a questo stato di cose. Non solo da parte della filiera istituzionale – che ancora confusamente e frammentariamente sta provando a mettere in campo e soprattutto a “mediaticizzare” qualche intervento pure significativo – ma anche sul versante delle varie articolazioni sociali, culturali e produttive che operano nelle singole comunità locali. Di fronte al dilagante meccanismo del verticalismo decisionale quali sono le risposte che nascono dal basso? Sembrano, purtroppo, prevalere atteggiamenti di “disincanto collettivo” che conducono all’accettazione senza mediazioni delle “imposizioni” di provvedimenti calati dall’alto. Non solo non si attrezza più alcun tipo di “opposizione” che potremmo definire di respiro locale - e questo è un aspetto tutto sommato da catalogare nel campo delle positività - ma pare venuto a mancare (quasi definitivamente) anche il tentativo di elaborare proposte e progettualità realmente condivise ed effettivamente rappresentative delle aspettative generali. In altre parole, la “reazione” prevalente al verticalismo decisionale si è di fatto fino ad oggi concretizzata nell’appropriazione di una presunta capacità rappresentativa di interessi diffusi che, in realtà, si è rivelata, più semplicemente, il tentativo di spacciare per utilità collettiva iniziative di parte. In mezzo - naturalmente - si sono ritrovate le comunità di cittadini alle prese con meccanismi esclusivi e non inclusivi, fino al punto da mettere in discussione un bene primario come la coesione sociale.
In questo contesto il 2016 si propone come anno strategicamente rilevante. Se da un lato non è più rinviabile l’inizio della grande “rincorsa” agli standard produttivi, economici e di qualità della vita del resto d’Italia e d’Europa; dall’altro è assolutamente auspicabile il recupero di un livello di dialogo e di ascolto reciproco tra i diversi attori dello sviluppo locale in modo da aumentare la capacità di interlocuzione con le Istituzioni centrali. La voce dei territori, insomma, deve necessariamente provare a diventare univoca ed effettivamente rappresentativa delle comunità del Mezzogiorno. Ma, nello stesso tempo, occorre lavorare senza inutili e sterili leaderismi e localismi – questi sì di retroguardia – all’individuazione di poche e fondamentali priorità da realizzare nel più breve tempo possibile.
Sarà l’anno della grande “rincorsa” del Sud per recuperare posizioni? Difficile dirlo. Ma è certo che il ritardo accumulato è tale da non consentire ulteriori ed ingiustificabili “distrazioni”.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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