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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • In attesa di verificare in maniera più strutturale gli effetti della nuova normativa contenuta nel “Jobs Act”.
     
    Subito le “nuove” pensioni “L’obiettivo? Garantire un trattamento base uguale per tutti abbinando il gettito di due quote: una derivante dalla fiscalità generale e una dai contributi effettivamente versati”.

    Il Governo ha messo in campo il Jobs Act per cominciare a cambiare le regole del mondo del lavoro; ma ora cresce l’attesa di un “Jobs Act” (se così si può dire) delle pensioni in quanto, anche nell’ultima proposta firmata Boeri,  a nostro avviso, si palesa una visione non di ampio respiro, perché si continua a considerare solo il lavoro dipendente e a caricare sulle spalle dei giovani un peso insostenibile. Il documento presentato dal presidente dell’Inps prevede un percorso di transizione flessibile verso un sistema contributivo sostenibile.
    “Il blocco delle uscite verso il pensionamento - si legge nel documento peraltro prontamente bocciato dal Governo Renzi - impone costi anche sotto forma di ritardi nei processi di ristrutturazione delle imprese e di mancata rotazione della manodopera nel Pubblico Impiego. Al di là di questo problema legato alla particolare intensità e durata della Grande Recessione e della successiva crisi del debito pubblico dell’area Euro, una maggiore flessibilità in uscita, se sostenibile, aumenterebbe grandemente il benessere delle famiglie che hanno, specie in quella fascia di età che precede il ritiro dalla vita attiva, esigenze ed aspirazioni molto diverse tra di loro. Il tutto alleggerendo la gestione del personale di imprese che altrimenti si troverebbero a dover dare lavoro a persone poco motivate, presumibilmente, poco produttive”. In pratica, la ratio che si viene a delineare è quella di un massiccio prepensionamento.
    Occorre, invece, evidenziare che è stato provato storicamente che favorire la “staffetta generazionale” non significa promuovere automaticamente i processi di ristrutturazione aziendale, né tantomeno la sostenibilità economica e l’equità tra le generazioni presenti e quelle future. Sono altri gli aspetti che influiscono sugli elementi sopra indicati, come ad esempio un effetto combinato tra invecchiamento della popolazione e crollo della natalità. Con il sistema della “staffetta generazionale” si ottiene l’unico risultato di creare un futuro da contribuenti condannati a sostenere, con quote insostenibili del loro reddito, il pagamento di trattamenti pensionistici a persone uscite prematuramente dal mercato del lavoro e magari ricollocate in nuove occupazioni con altre tipologie di rapporti d’impiego.
    La critica di fondo alla proposta è quella di non prefigurare una riforma che guardi al futuro, al mercato del lavoro di oggi e alle giovani generazioni. Il soggetto di riferimento continua ad essere una persona anziana con un progetto di vita ormai orientato alla quiescenza. Come nel 1995, si finisce per scaricare sulle generazioni future il costo delle pensioni presenti.
    La questione cruciale non sta nelle nuove regole ma nelle trasformazioni del mercato del lavoro, bisogna chiedersi quale sia la vera preoccupazione dei giovani e ragionare in funzione dei giovani. L’incerta prospettiva pensionistica delle generazioni future non deriva, infatti, dalle regole dell’accreditamento dei contributi e dal meccanismo di calcolo della prestazione, ma dalla loro condizione occupazionale precaria e saltuaria durante la vita lavorativa. Una carriera contraddistinta da un accesso tardivo al lavoro, da rapporti interrotti e discontinui, finirà per influire negativamente anche sulla pensione. Occorre garantire maggiore uniformità di trattamento senza illudersi che si possa tornare ad una generalità di lavoro dipendente stabile, e quindi a poter salvare la pensione di domani attraverso la salvaguardia forzosa, oggi, dei rapporti di lavoro standard.
    Per non rimanere nel campo della pura teoria e non rischiare di cadere in valutazioni di carattere squisitamente politico, si potrebbe pensare ad un sistema pensionistico le cui regole valgono solo per i nuovi assunti; si potrebbe ipotizzare un’aliquota uniforme per tutti – dipendenti, autonomi e parasubordinati – applicando quindi a tutti un’unica gestione (quindi eliminare le diverse gestioni all’interno dello stesso Inps). L’obiettivo? Garantire un trattamento base uguale per tutti i lavoratori formato da una quota finanziata dalla fiscalità generale ed una quota rapportata ai contributi effettivamente versati; infine, in un’ottica estremamente innovativa, si potrebbe pensare di dare la possibilità a tutti i lavoratori di optare per il versamento volontario e totale in un “veicolo” di previdenza complementare. Ma forse sarebbe veramente troppo.
    Nell’immediato è necessario un intervento che metta un punto alle attuali regole in vigore in modo da ripartire da zero. Prevedere tempi strettissimi di transizione e snellire nelle regole e nel versamento gli adempimenti. Infine anche una riduzione dell’aliquota contributiva per favorire una maggiore disponibilità economica netta del lavoratore non sarebbe male in quanto avrebbe effetti anche sulla ripresa dei consumi.
    *Studio Viviano&Partners
    antonio@vivianoepartners.com
    Roccapiemonte, Via M. Pagano n°168
    Salerno, Loc. Migliaro snc
    Tel. 345 599 07 36


    Cresce l’attesa di un “Jobs Act” delle pensioni
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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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