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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Tutte le analisi più recenti confermano il consolidamento strutturale del divario crescente tra le aree meridionali ed il resto del Paese.
     
    Al Sud dialogo tra sordi La Svimez: “Resta da verificare se le Regioni sono davvero disponibili a individuare alcuni temi su cui lavorare insieme condividendo, come già accade al Centro-Nord, obiettivi e interessi comuni”.
     

    E’ sempre più evidente – a leggere dati e statistiche recentissime elaborate dalle più autorevoli fonti specializzate in questa tipologia di analisi – che la crisi ha pesantemente finito di “zavorrare” l’economia meridionale, lasciando sul campo capacità produttiva, posti di lavoro e reddito pro capite in maniera a dir poco preoccupante. L’embrione di ripresa che si percepisce al Centro Nord in considerazione soprattutto della ripartenza della domanda interna, è evidente che non può materializzarsi nel Mezzogiorno proprio perché il tessuto delle imprese è ancora impelagato nelle difficoltà semplicemente aggravate dalla crisi perché, in ogni caso, ad essa antecedenti.
    E’ in questo quadro che si materializza una grande confusione dal punto di vista delle iniziative messe in campo (o meglio: dell’annuncio delle cose che si afferma di volere fare) da parte della “filiera” istituzionale meridionale. Si avverte forte la sensazione che la stragrande maggioranza degli attori pubblici (e non solo) chiamati ad intervenire non abbiano compreso a fondo la drammaticità del contesto nel quale devono (dovrebbero) responsabilmente operare. Si continua a promuovere, invece, un clima di campagna elettorale permanente, mentre si impone la ricerca di intese ed accordi ad ampio raggio, in grado, cioè, di reggere - sul piano politico e sociale – nel medio e lungo periodo. Perché, ovviamente, la vastità e la complessità dei problemi da avviare a soluzione non richiede certo approcci roboanti, ma, più sostanzialmente, un lavoro costante e quotidiano su più fronti.
    Uno dei punti nodali risulta – per esempio – l’indispensabilità di una visione complessiva delle priorità del Sud, travalicando non solo i confini delle singole province all’interno delle regioni, ma delle stesse regioni. Il problema vero risiede nella ricerca di un impatto forte sulle politiche del Governo che – tra un Masterplan ed una legge di Stabilità difficili da decifrare dal punto di vista della concretezza di idee e di risorse – non pare consapevole della valenza dell’economia meridionale nell’ambito di quella nazionale.
    E’ in questa prospettiva che si inserisce la proposta della Svimez (“Cooperazione virtuosa tra Regioni meridionali e Stato”, Roma, 2 dicembre scorso) di realizzare una  “cooperazione rinforzata nel rapporto tra Stato centrale e Regioni meridionali, un tavolo politico di coordinamento quale una Conferenza delle Regioni meridionali, con attenzione ad alcuni settori specifici (rifiuti, acque, logistica)”. Perché la Svimez individua la necessità di “un momento unitario delle Regioni meridionali destinatarie della politica di coesione europea, e di queste con il Governo, in cui l’interesse complessivo del Mezzogiorno possa essere rappresentato e perseguito in maniera strategica e sistematica”. Ed è sempre la Svimez che fa rilevare come già oggi “la Conferenza Stato-Regioni sarebbe tenuta a riunirsi in seduta straordinaria una volta l’anno in merito alle politiche di coesione e per il Mezzogiorno, con la finalità di rivalutare in quella sede il ruolo delle Regioni meridionali (art.32, commi 13-15 della legge 111/2011), che al momento non sembra avere avuto effettiva attuazione”. Non a caso la Svimez a rimarca che “resta da verificare se le Regioni del Sud sono davvero disponibili a individuare alcuni temi su cui lavorare insieme condividendo, come già le Regioni del Centro-Nord, obiettivi e interessi comuni”.
    Sulla necessità di “rielaborare” il ruolo delle Regioni nel corso del seminario in parola è intervenuto l’Assessore alle Attività Produttive della Campania, Amedeo Lepore (anche consigliere Svimez). “Dopo anni di federalismo fiscale spinto, con tutte le contraddizioni che questa fase ha comportato - ha detto Lepore - oggi dobbiamo ammettere che le Regioni vanno profondamente riformate, sia in termini di competenze che in termini istituzionali, un'azione resa possibile anche dal potenziale superamento delle Regioni a statuto speciale”. “Non si tratta di immaginare una contro-conferenza delle Regioni meridionali - ha specificato Lepore - una contrapposizione di gruppi di regioni, ma di ammettere la possibilità all'interno della Conferenza Stato-Regioni di creare una rete di relazioni mobili anche con le Regioni del Centro-Nord sulla base di interessi comuni”.
    Il punto vero, alla fine, è proprio l’urgenza di definire una politica di sviluppo comune all’intero Mezzogiorno, evitando di creare ulteriori frammentazioni all’interno di un’area che ha, invece, bisogno di posizionarsi in maniera unitaria e pienamente condivisa nello scenario nazionale ed europeo.
    Ernesto Pappalardo
    direttore@salernoeconomy.it
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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