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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • La discussione sull’accorpamento delle Autorità  Portuali di Napoli e Salerno evidenzia la “distanza” tra le “visioni” dall’alto e la reale situazione dell’economie dei territori.Le riforme che non “funzionano”  Il decisionismo “verticale” si conferma una pratica molto diffusa nel corso degli ultimi anni tra i  Governi centrali da Monti a Renzi. La debolezza della rappresentanza politica ed istituzionale meridionale “avalla” di fatto scelte penalizzanti per intere comunità produttive.

    La criticità più devastante per le comunità locali del Mezzogiorno negli ultimi anni – al di là della “selezione naturale” operata dalla crisi rispetto al tessuto economico e produttivo – risiede prioritariamente nella caduta libera del loro peso reale in termini di rappresentanza politica ed istituzionale. La scarsa credibilità, la carenza di visione strategica, la mancanza di leadership politiche in grado di fare sentire la propria voce nelle sedi del Governo centrale e nell’ambito dei vari organismi dell’Unione Europea: sono tutti ingredienti che hanno azzerato qualsiasi possibilità di concorrere in maniera determinante alle scelte che si stanno concretizzando a livello centrale definendo di fatto per il Sud un ruolo sempre più marginale da ogni punto di vista. In altre parole si sono drammaticamente incrociate due tendenze: da un lato la manifestazione dell’irrilevanza politica ed istituzionale (oltre che di altre forme di rappresentanza); dall’altro l’accelerazione dei processi di concentrazione delle scelte nelle sedi lontane dai territori (Unione Europea e Governo nazionale) in base al nuovo paradigma del verticalismo decisionale ritenuto a torto - e molto spesso strumentalmente – l’antidoto alla “palude” burocratico/amministrativa che è ben altra cosa rispetto alla costruzione paziente di meccanismi di condivisione delle scelte. Insomma, non è che la “rottamazione” del personale politico consenta automaticamente il ricambio effettivo dei partiti; non è che l’accorpamento di Enti ed Istituzioni significa operativamente rendere efficienti gli Enti e le Istituzioni che non funzionano. Si ha quasi la sensazione che si agisca per parole d’ordine senza meditare bene quali conseguenze deriveranno da scelte che hanno sicuramente un ottimo impatto mediatico, ma che alla prova dei fatti appaiono destinate a non dare i risultati sperati (o, meglio ancora, mille volte preannunciati).
    Non si tratta di stare a difendere in maniera anacronistica localismi o municipalismi che nell’era della glocalizzazione spinta non hanno più alcun senso. Ma, semplicemente, di richiamare l’attenzione sull’attivazione di processi che non tengono conto – in maniera persistente ed “ostinata” – delle differenze che nel Mezzogiorno ed in Campania fortunatamente ci sono anche nel bene (oltre che nel male, purtroppo). Non si può, cioè, in nome della semplificazione o addirittura della spending review (mai realmente praticata in maniera significativa) rimanere sordi rispetto alla necessità di un confronto aperto ed obiettivo che occorrerebbe attivare immediatamente sulle grandi scelte strategiche da prendere in considerazione in Campania.
    Il verticalismo decisionale che si avverte – per fare l’esempio più attuale – nel caso dell’accorpamento delle Autorità Portuali di Napoli e Salerno, produce l’effetto collaterale di stimolare anche le altre componenti della “filiera” istituzionale a comportarsi, più o meno, come il Governo centrale: con lo “scudo” mediatico della ricerca dell’efficientismo e del risparmio della spesa si procede così al varo di provvedimenti che, in realtà, “camminano” letteralmente sulle istanze dei singoli territori. Ed in alcuni casi determinano anche scenari incomprensibili. Sempre per rimanere ai porti della Campania, per quale motivo privare dell’autonomia gestionale lo scalo di Salerno che vanta ottime perfomance amministrative e commerciali? Convenendo sull’esigenza di “coordinare” in maniera più complessiva le scelte riguardanti la piastra logistica campana – ma esiste davvero? – perché mettere le mani su un meccanismo di partenariato pubblico/privato che negli ultimi decenni ha prodotto reddito diffuso e lavoro? Domande che difficilmente avranno una risposta concreta.
    Nel frattempo le comunità locali della Campania e del Mezzogiorno devono constatare che la loro voce è sempre più flebile, al punto che a Roma e a Bruxelles non si sente quasi più.
    Ernesto Pappalardo
    @PappalardoE


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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