Glocal di Ernesto Pappalardo
Lo scenario delineato dalla Banca d’Italia per l’economia regionale conferma problemi di stretta creditizia per le piccole imprese.Il “disegno” che non c’è Mentre il Mezzogiorno perde risorse nell’ambito dei fondi della “coesione”, non si intravede da nessuna parte un piano strategico di rilancio. E le banche diventano più “friendly” solo con le aziende medio/grandi.
Se si incrociano i dati di varie fonti per provare a capire che cosa realmente stia accadendo nel Mezzogiorno ed in Campania dal punto di vista economico, appare abbastanza chiaro che l’embrione della ripartenza è sicuramente il fatto nuovo degli ultimi mesi. Vari indicatori riferiti al ciclo produttivo e gestionale delle imprese sostengono quest’ipotesi anche nella nostra regione. Ma – al di la dei decimali in più o in meno – è altrettanto certo che manca l’elemento principale per attivare un percorso stabile di rilancio delle attività produttive: un piano di investimenti pubblici di facile attuazione nel medio periodo capace di tranquillizzare i capitali privati e di mobilitarli (o, almeno, cominciare a farlo). Ed è bene ribadire che non sarà tanto l’entità delle risorse – che in ogni caso non possono essere poche – a fare la differenza, ma l’efficacia del processo di spesa. Come tante altre volte emerso negli ultimi anni, non si tratta di stabilire quanti soldi si destinano agli obiettivi prescelti, ma, soprattutto, di intendersi preliminarmente su poche priorità e, soprattutto, su una tempistica certa ed ineludibile, a prova, cioè, di malaburocrazia. E’ evidente – per fare l’esempio sostanziale – che mentre discutiamo ancora su che cosa concentrare i finanziamenti della nuova programmazione Ue (2014/2020), non ci siamo resi realmente conto che occorre snellire il procedimento della loro relativa spesa per non ripetere lo stesso (bruttissimo) film della pianificazione precedente (2007/2013). Ed è ancora più chiaro che siamo di fronte ad un fatto molto concreto: l’alleggerimento delle risorse - nell’ambito degli strumenti della coesione - destinate al Mezzogiorno. Da qui bisogna partire per comprendere bene che qualunque “ricetta” emergerà dalla versione finale della legge di stabilità, andrà capitalizzata al massimo, nella certezza che il Sud non può più aspettarsi aperture di credito come è accaduto per tantissimi anni. In altre parole: dopo avere giustamente puntato l’indice contro l’abbassamento della percentuale di cofinanziamento dei fondi Ue e sul reperimento delle risorse per la decontribuzione tra i soldi che erano destinati alle regioni meridionali, si dovrà, in ogni caso, lavorare con quello che passerà il convento. Con la differenza – dopo la tempesta della crisi – che si dovrà lavorare al massimo delle potenzialità per tentare di agganciare quello che di buono potrebbe portare il riavvio in vista della macchina economica e produttiva non solo nell’Italia del Centro/Nord, ma dell’intera Europa. Anche perché (vedi altro approfondimento nella newsletter di questa settimana) non sono minimamente cambiati alcuni atteggiamenti dirimenti come quello inerente l’approccio del circuito bancario verso le piccole e piccolissime imprese. Se c’è stata una maggiore apertura nei confronti del sistema produttivo da parte del sistema creditizio, va evidenziato che non ha riguardato i piccoli, ma solo le medie e grandi imprese. Basta dare uno sguardo anche ai tassi di interesse praticati: non è cambiato molto, anzi, quasi niente.
E, allora, il “pezzo” che manca è sempre lo stesso: una visione ampia, lunga, aperta, senza recinti e steccati di nessun genere da parte del pubblico chiamato a mettere in campo iniziative in grado di aiutare le imprese a risolvere – per esempio – il problema della liquidità in prima battuta per, poi, passare alla ristrutturazione del debito. Le dinamiche complessive del credito (ultima analisi della Banca d’Italia riferita alle economie locali ed alla Campania) segnalano che uno dei settori determinanti per riaccendere il motore della crescita come l’edilizia è ancora piegato in due dalla stretta creditizia. E che – da vari punti di vista – solo le aziende di più ampie dimensioni stanno iniziando ad usufruire anche qui al Sud degli effetti benefici del QE di Mario Draghi.
Non c’è più tempo per non buttarsi alle spalle modelli operativi del pubblico che hanno portato alla catastrofe del fallimento dei fondi Ue (anche di quelli spesi, oltre che di quelli rimasti nei cassetti ed in via di restituzione a Bruxelles). E non c’è più tempo di non impegnarsi quotidianamente per assicurare alla stragrande maggioranza delle imprese (quelle piccole e piccolissime) forme di assistenza finanziaria mediante le quali salvare quelle di loro che hanno ancora un progetto industriale valido e competitivo e che rischiano di sparire per asfissia creditizia.
ERNESTO PAPPALARDO
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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