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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • I dati della Svimez evidenziano nelle regioni meridionali la prima timida uscita dal campo negativo. Ma il Nord è davvero lontano Le previsioni di un ritorno del Pil al segno più (la prima variazione positiva di prodotto del Sud da sette anni a questa parte) non cancellano le distanze in termini di ricchezza pro capite e di standard di qualità della vita. 

    In queste ultime settimane si sono succedute varie interpretazioni/predizioni sull’economia del Sud. E’ bastato che la Svimez diffondesse le previsioni sul Pil nel 2015 e nel 2016 per accendere facili ottimismi che – con tutta la buona volontà di non essere catalogati alla voce “gufi” – è davvero difficile condividere.
    Partiamo come sempre dai numeri. Secondo la Svimez nel 2015 il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,8%, percentuale che deriva dal  +1% del Centro-Nord e dal +0,1% del Sud. Va detto che si tratterebbe - in caso questo scenario si verifichi al termine di quest’anno - della prima variazione positiva di prodotto dopo ben sette anni.  Questo trend di crescita si rafforzerebbe - sempre secondo le previsioni della Svimez - nel 2016 : il Pil a livello nazionale aumenterebbe del +1,3%: +1,5% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud. Bene anche gli investimenti fissi lordi: +2% il dato nazionale (+2,5% al Centro-Nord e +0,5% al Sud). Buone notizie pure sul versante occupazionale: +0,8% Italia; +0,9% al Centro-Nord e +0,6% al Sud.
    Questo il quadro in base al quale si ragiona da giorni e giorni sulla ripresa che è arrivata, sulla fiducia, sull’ottimismo di famiglie ed imprese etc etc. Naturalmente, si tratta di elementi molto importanti: senza fiducia nel futuro non riparte nessuna economia, non si inserisce alcuna cesura reale tra i vari cicli economici. Ma non è neanche possibile che prenda piede, invece, un atteggiamento politico e mediatico (ormai è quasi la stessa cosa) che sembra dimenticare il contesto vero e proprio nel quale ci muoviamo.
    In questo caso i numeri che occorre richiamare alla memoria collettiva non sono aggregati in previsioni, ma sintetizzano quanto già accaduto. Se facciamo riferimento al Pil pro capite, “il Mezzogiorno - spiega sempre la Svimez - nel 2014 è sceso al 53,7% del valore nazionale, un risultato mai registrato dal 2000 in poi”. E ancora: “In valori assoluti, a livello nazionale, il Pil è stato di 26.585 euro, risultante dalla media tra i 31.586 euro del Centro-Nord e i 16.976 del Mezzogiorno”. Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (22.927 euro); seguono la Sardegna (18.808), la Basilicata (18.230 euro), il Molise (18.222 euro), la Puglia (16.366), la Campania (16.335), la Sicilia (16.283).
    In base a questi dati appare chiaro che il Sud è sempre più povero del Nord. Ma c’è molto di più. Il 62% guadagna al massimo il 40% del reddito medio. La povertà assoluta negli ultimi anni - ricostruisce la Svimez - è più che raddoppiata. Sul totale della popolazione è passata dal 2008 al 2013 dal 2,7% al 5,6% nel Centro-Nord, e dal 5,2% al 10,6% al Sud. Nel 2013 “se nel Centro-Nord si è trovato esposto al rischio di povertà 1 persona su 10, al Sud il dato invece è di 1 persona su 3”. E “a livello regionale, al Sud, la forbice è compresa tra il 16,5% dell’Abruzzo e quasi il 42% della Sicilia”. Nelle altre regioni meridionali “sono a rischio oltre il 30% dei cittadini lucani, molisani e calabresi ed anche il 37% dei campani si trova in questa situazione”. Nel Centro-Nord “oltre il 50% delle persone guadagna dall’80 al 100% del reddito medio regionale; al Sud  questo vale solo per una persona su cinque. Al contrario, il 61,7% delle persone guadagna al massimo il 40% del reddito medio, con punte del 66% in Campania, del 70% in Molise, e addirittura del 72% in Sicilia”.  Questo quadro, ovviamente, si riflette sulla dinamica dei consumi. “Nel 2014 i consumi pro capite delle famiglie del Mezzogiorno sono stati pari al 67% di quelli del Centro-Nord”.
    Insomma, c’è poco da aggiungere. La sofferenza sociale è elevatissima ed è proprio da questo fronte che occorrerebbe partire senza indugiare ancora in provvedimenti con ricadute lentissime. Nelle more di un effettivo avvio del ciclo di ripresa è l’emergenza/povertà che andrebbe affrontata senza demagogie e trovando le necessarie coperture attraverso tagli drastici sulla spesa che alla fine non arrivano mai nella misura annunciata. Ma, purtroppo, si intravede solo confusione. E tutto annega nella narrazione politica che di fronte alle due Italia guarda quasi sempre dalla parte di quella più ricca.
    ERNESTO PAPPALARDO
    direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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