Glocal di Ernesto Pappalardo
L’evoluzione delle dinamiche di crescita del settore primario conferma la centralità dei processi di integrazione multisettoriale.Territori e filiere “asimmetriche” L’analisi del Censis individua una delle nuove frontiere dello sviluppo del Mezzogiorno nella capacità di integrare agricoltura, industria, patrimonio paesaggistico e culturale con un'offerta turistica sempre più attenta ad una domanda molto complessa e variegata.
Visto da Sud “Expo 2015” probabilmente è diventato nell’immaginario collettivo prima di tutto un luogo delle “meraviglie” enogastronomiche mondiali. Ed in effetti il racconto mediatico è incentrato proprio sulle mirabilie culinarie che sono in mostra a Milano provenienti da tutto il pianeta. Ma, in realtà, dietro la presenza preponderante del “food” è facile scoprire una serie di processi produttivi che narrano la trasformazione delle filiere agricole in “filiere integrate asimmetriche”, come le definisce il Censis all’interno del documento “Il futuro dei territori. Idee per un nuovo manifesto dello sviluppo locale”.
Il presupposto di fondo è che – secondo l’analisi del Censis – “(…) Il food è solo il punto di partenza di nuove opportunità di fare impresa e di creare filiere; in questo caso è opportuno parlare di filiere integrate asimmetriche che possono nascere dall’originale mixage di patrimoni diversi in grado di rispondere ad una domanda complessa, articolata, ricca, socioculturalmente evoluta, che ha aspettative non solo di qualità, ma meticce, tanto da spingere i provider sui territori a mettere insieme beni e servizi in modo originale, e spesso vincente, rispetto ad una settorialità produttiva classica”.
Esempio pratico? “(…) Il turismo enogastronomico, un nuovo modo di fare esperienza di un territorio andando alla ricerca di sapori, luoghi e tradizioni autentiche. In tale ambito, esplode il fenomeno delle gite più o meno brevi, dei week end tematici legati a percorsi guidati o costruiti direttamente dalle persone che decidono di dedicarvi tempo e soldi. Sono opportunità di creazione di valore che richiedono una capacità imprenditoriale adattiva, in grado di fare filiera di territorio, integrazione multisettoriale, impresa di comunità”.
Ed è all’interno di questa visione che dal food prendono avvio “una pluralità di filiere possibili di occupazione e creazione di reddito; non più, quindi, agricoltura come settore residuale e chiuso in sé, ma piuttosto come attività generatrice di una multifunzionalità del territorio che coniuga prodotto tipico, patrimoni paesaggistici, culturali, eventi di valorizzazione di risorse locali, animazione”.
Si ritorna, quindi, alla centralità del territorio che “(…) diventa contenitore di risorse da mettere in valore, facendole dialogare, adattandole al fine di mettere a punto un bouquet di offerta in grado di intercettare una nuova domanda turistico-culturale evoluta. L’offerta esce quindi dalla serialità e dalla monocultura e diventa capacità di inventare soluzioni operative originali, attrattive, da mettere all’attenzione dei soggetti che domandano un’esperienza locale memorabile”.
E la novità positiva già in atto è che le aziende agricole stanno rispondendo, anche al Sud perché “(…) oltre a svolgere la propria attività tradizionale, sono sempre più dedite ad attività connesse all’agricoltura mediante l’utilizzo di risorse dell’azienda stessa o di suoi prodotti (+48,4% tra il 2010 ed il 2013)”. Tra gli asset ritenuti strategici rientra senza dubbio la produzione di energia rinnovabile: “si registra infatti un +602,8% in soli tre anni nel numero delle aziende che intraprendono questa strada, con crescite superiori nelle regioni del Sud e nelle Isole”. E “sono ancora più numerose, e continuano a crescere (+97,8%), anche in questo caso soprattutto nel Mezzogiorno, le aziende che lavorano e trasformano internamente i propri prodotti e continua anche l’aumento (+15,9%), soprattutto al Sud, della aziende che coniugano le proprie tradizionali attività produttive con attività di alloggio e ristorazione, incarnando appieno la filosofia della filiera integrata asimmetrica”.
E’ in questa nuova filosofia che si inserisce – evidenzia sempre il Censis – “la preferenza per il chilometro zero oltre che come garanzia di consumare cibo fresco e sicuro (40,7%), anche come soluzione per sostenere l’economia e lo sviluppo del territorio (38,9%)”.
Insomma, in questa dinamica evolutiva del settore primario la Campania e la provincia di Salerno hanno davanti praterie di sviluppo da “aggredire”. Gli elementi/base ci sono tutti: qualità delle produzioni agroalimentari; giacimenti paesaggistici e culturali unici al mondo; tradizione dell’ospitalità turistica. Che cosa manca? Come sempre una visione di sistema in grado di aggregare tutti gli attori in campo e capace di convincerli ad abbandonare protagonismi localistici e poco convenienti sul piano della competitività interna ed internazionale. Non è un problema semplice da risolvere, ma in altre parti d’Italia lo hanno già fatto, generando ricchezza ed occupazione. Ma a quanto pare anche questi concreti argomenti non riescono a sortire alcun effetto pratico in larga parte del Mezzogiorno e soprattutto in Campania e nella nostra provincia.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it
@PappalardoE
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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